In un mondo dove la comunicazione scorre sempre più veloce attraverso i social, pervasa dal concetto di viralità, relegando quella su carta stampata a un cult per una piccola fetta di nostalgici, il mondo del vino, il motore del nostro comparto agroalimentare, per certi versi, sembra essere ancora un’isola felice per gli editori. Per quanto tempo ancora? Sarà vera gloria?
di Sebastiano Di Maria (editoriale da Teatro Naturale)
Mentre buyer e opinion leader internazionali fanno un uso smodato del web 2.0 e i paesi del nuovo mondo enologico sono quelli che meglio lo interpretano, i nostri produttori, invece, si affidano spesso alla comunicazione su carta stampata o attraverso le recensioni sulle immancabili guide di settore, tant’è vero che, nel nostro paese, il loro numero si consolida ulteriormente con new entry di tutto rispetto, in parte figlie di lotte intestine e scissioni varie tra operatori, ma anche di giornalisti cui stava stretto il ruolo di comprimari.
Tra queste novità, quella che sicuramente ci ha incuriosito di più, non tanto per il suo carattere “essenziale” che gli ha impresso l’autore, è quella di Daniele Cernilli, ex guida storica del Gambero Rosso. In effetti, la guida non ha disatteso le attenzioni, in particolar modo per i lettori del Molise, per esempio, dove, una condivisione attraverso i social, ha creato un vero e proprio terremoto tra produttori e operatori del settore, per via di alcune considerazioni errate ed errori presenti nella guida, tanto da generare un sentimento di appartenenza e di condivisione che non si erano mai visti in passato per la piccola terra della Tintilia.
Un’altra novità del panorama “guidaiolo” è stata Vitae, nata dall’azione della principale associazione di settore, l’Ais che, invece, si è focalizzata, oltre i soliti noti, sulle piccole denominazioni o sui vitigni “strappati all’oblio”, fautori della rinascita di territori. Se da una parte, quindi, le guide, o la carta stampata, fanno parlare ancora, nel bene o nel male, anche se date in declino progressivo nell’influenzare il consumatore di vino, la comunicazione attraverso la rete, rappresenta, invece, la vera forza del mercato del vino negli anni futuri. Il coinvolgimento personale che caratterizza la rete, attraverso la partecipazione e la condivisione dei contenuti, rappresenta, anche per le aziende vitivinicole, un treno da non perdere poiché il loro marketing è incentrato sul concetto di denominazione d’origine, ossia di un prodotto legato a un territorio; vendere vino significa vendere una regione, la sua storia, la sua cultura. Twitter, Facebook, Youtube o Instagram, sono alcuni dei mezzi che, integrati in siti internet ben curati, con immagini e video ad alta definizione, rappresentano la vera rivoluzione nel modo di fare comunicazione, quello che vuole la grande maggioranza degli importatori e distributori di tutto il mondo ma che, purtroppo, pone le aziende italiane in costante ritardo rispetto ai maggiori competitor internazionali. Altro dato preoccupante – spesso è sottovalutato – che invece emerge chiaramente da diversi studi, è anche la lentezza nella risposta a una mail – a volte ciò non avviene proprio – che ci pone in una situazione d’imbarazzo rispetto agli altri. Pur essendo poco attenti alle nuove forme di comunicazione, il nostro appeal agli occhi del mondo non scema, tutt’altro, se teniamo conto della storia vitivinicola, dalla qualità del vino e dal valore aggiunto dato dalla miriade di territori e dall’enorme biodiversità viticola.
Non bisogna sottovalutare, poi, in tal senso, il mutamento della geografia dei consumi, con un profondo cambiamento nei paesi produttori, che ha fatto registrare un declino inesorabile degli stessi, bilanciato da una crescita costante nella restante parte del mondo. Riuscire a penetrare i nuovi mercati, dove l’innalzamento del livello socio-economico, e quindi della cultura, porta a un aumento del consumo di vino, può sviluppare una crescita dell’export che non può prescindere da una corretta comunicazione, ancor più forte se coordinata a livello territoriale. L’unione dei produttori e la condivisione, quindi, devono rafforzare il concetto di ambasciatori del consumo consapevole dei prodotti sul proprio territorio, creando i presupposti per essere competitivi anche sul mercato internazionale. Bisogna capire che, in un contesto che non da più punti di riferimento, vista l’enormità di scelta di vini di qualità presenti sul mercato, non è più sufficiente entrare nell’olimpo della critica enologica o essere citati nelle patinate guide, ma è necessaria la ricerca di una propria identità, autentica, trasparente, con un immagine aziendale che sia in grado di garantire ed evocare un prodotto e il sito aziendale ne è l’espressione principale in un mondo globalizzato. In Italia, poi, per esempio, si sta facendo anche l’errore a non favorire la promozione comune, come l’utilizzo dei fondi dell’OCM per i paesi terzi, spesi spesso come singoli o addirittura non utilizzati.
Il sistema vitivinicolo italiano ha avuto un’evoluzione in base al momento storico nella forma comunicativa; se negli anni ’60, con la forte espansione dei consumi, il vino si vendeva da solo, quindi ci si concentrava solo sull’aumento della quota di mercato, già negli anni ’80, con la saturazione della domanda, si adottarono le prime strategie di marketing operativo, cercando di esaltare le qualità del prodotto rispetto alla concorrenza. Negli anni ’90, invece, con il superamento dell’offerta sulla domanda, diventava decisivo fidelizzare il cliente attraverso un marketing strategico, nella ricerca di segmenti o nicchie di mercato, nasce così il “vino mediatico”, fatto di concorsi, recensioni su riviste patinate, guide e quant’altro. Da allora si sono sempre più accentuati gli effetti del mercato globale, tanto che oggi ci s’imbatte nel complesso mondo degli operatori di mercato, che sono prima acquirenti e consumatori di mezzi e servizi, poi venditori di beni, oppure nel complesso mondo dei consumatori (produttori, buyer, intermediari, sommelier, divulgatori, ricerca ecc.).
Ed ecco quindi, come accennavamo in precedenza, diventa fondamentale comunicare in modo convincente che si tratta di un prodotto identitario, non replicabile, autentico. In definitiva, tutti i sistemi sono utilizzabili, ma, ovviamente, molti perdono d’effetto e mentre c’è chi si accontenta di ricavarsi un posto al sole in una guida di settore, che ormai nessuno compra più, visto che sono perlopiù rivendute ai produttori, ristoratori o agli associati stessi, nel nostro paese si perde d’occhio il vero sviluppo del vino nel mondo globalizzato, fatto di condivisione e marketing sociale.
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