Ci eravamo lasciati, con uno degli ultimi articoli, sull’attività proposta e svolta durante la manifestazione “Terre del gusto”, presso il Santuario della Madonna di Canneto, nei giorni 6, 7 e 8 settembre. Riprendiamo il filo del discorso e focalizziamoci su un altro aspetto che è stato trattato durante i “Laboratori del gusto”, sempre proposto nell’ambito del progetto “Scuola del gusto”, relativo alla transumanza, alla storia, ai valori e ai segni presenti sul territorio, anche alla luce della recente “candidatura a bene immateriale internazionale UNESCO“, con testimonianze dirette, seguito da una trattazione approfondita sulla Capra di Montefalcone, razza autoctona molisana. Il laboratorio “Sulle tracce della transumanza”, che ha visto i contributi di Sebastiano Di Maria per la parte storico-culturale, della famiglia transumante Romualdi di Larino, e di Emilio Pietrolà, esperto e studioso della razza caprina, ha avuto un buon riscontro di pubblico, attenzione e partecipazione dei presenti, segno di un interesse verso una tematica che ha fatto la storia del Molise, del suo territorio, della sua cultura e che può essere una risorsa importante per il suo sviluppo. 
Carta dei tratturi, tratturelli e bracci e riposi del 1959 redatta dal Commissariato per la reintegra dei tratturi di Foggia
(Fonte: Cosmo Costa, PhD)
I tratturi in Molise (Fonte: Soprintendenza per i Beni Archeologici del Molise)
Il termine transumanza deriva dal verbo transumare, ossia attraversare, transitare sul suolo. Il verbo è costituito dall’accostamento del prefisso latino trans che vuol dire: al di là, attraverso, e dalla parola latina humus che vuol dire suolo, terreno. Indica, quindi, la migrazione alternativa e stagionale di gruppi di animali (pecore e bovini), tra due o più regioni che presentavano condizioni climatiche differenti. Di norma la migrazione avveniva in due periodi distinti: Settembre – Ottobre, con la migrazione dalla montagna alla pianura (demonticazione), e Maggio – Giugno, con il ritorno agli alti pascoli (monticazione). Questi spostamenti avvenivano lungo delle autostrade verdi, i tratturi, dal latino traho, “condurre”. Il Molise, situato geograficamente al centro tra l’Abruzzo e la Puglia, ha rappresentato il punto cardine di sviluppo e collegamento dell’attività transumante italiana, i greggi e gli armenti dovevano transitare per il Molise. Sul suolo molisano, infatti, sono presenti numerosi tratturi, tratturelli, bracci, riposi e taverne, numerose sono anche le testimonianze di capanne, villaggi e strutture architettoniche, legate alla transumanza, oltre ad un ottimo stato di conservazione di molti tratti delle piste erbose, scomparse nelle altre regioni. La storia dei tratturi e della transumanza è antichissima. Secondo Quinto Fabio Pittore (III sec a. C.) i Romani scoprirono la ricchezza prodotta dalla pastorizia transumante quando vennero in contatto con i Sanniti, facendone una delle attività più redditizie dell’Impero (pecus pecunia). La regione del Sannio Pentro, da localizzare nella zona a cavallo tra le attuali province di Campobasso, Isernia, L’Aquila e Chieti, con capitale Bovianum (Bojano), era attraversata da un percorso viario, il tratturo Pescasseroli – Candela. Quest’antichissima strada, originatasi come sentiero per i greggi transumanti, metteva in collegamento l’Abruzzo con la Daunia, passando per centri quali Aesernia (Isernia), Bovianum (Bojano) e Saepinum (Sepino), nati come presidi del percorso. 
Fonte: AssoMab
La rete viaria della pastorizia transumante non serviva per il semplice spostamento bensì consentiva alle greggi di avere garantito il necessario sostentamento alimentare per l’intera durata del viaggio. Da questo si capisce il perché delle loro grandi dimensioni, potendoli cosi considerare pascoli estesi. Secondo la loro ampiezza le vie della pastorizia si classificavano in tre gruppi: 1) tratturo: una vera e propria autostrada verde, la più grande arteria di comunicazione, larga 111,6 m; (delimitato da “cippo” tratturale, RT = regio tratturo); 2) il tratturello: strada di minore ampiezza rispetto al tratturo, poteva essere largo 18,5, 27,75, o 37 m; 3) il braccio: collegava tra loro tratturi e tratturelli. La famiglia Romualdi, che ha fatto la storia transumanza del secolo scorso, ha portato testimonianza attraverso una serie di aneddoti sull’attività della stessa che ha incuriosito molto i presenti, oltre ai “ferri del mestiere” utilizzati negli spostamenti, per la caseificazione (cascieri), compiuta anch’essa durante le soste lungo i percorsi, e di tutte le attenzioni e gli uomini che lavoravano intorno alle greggi per la loro cura (carosatori) e sopravvivenza (butteri), spesso mira di attacchi di lupi e orsi. Il Molise rappresenta la Regione con più ampie tracce storiche, e ciò anche giacché era l’unica a esserne quasi integralmente percorsa. Dei 3600 Km totali dei tratturi, circa 450 Km percorreva il Molise. Si possono ancora trovare i “trulli” in pietra a secco, ricovero dei pastori, taverne, chiese sorte lungo i percorsi, come quella di San Domenico a Carovilli, quella di Santa Maria a Matrice o quella di San Giacomo a Castropignano, solo per citarne alcune. 
Esemplari di Capra di Montefalcone (Foto “Scuola del gusto”)
Uno dei tratturi del Molise, l’Ateleta – Biferno, transita proprio per il territorio che include, tra gli altri, Montefalcone nel Sannio, che custodisce una razza caprina “sconosciuta” fino a qualche decennio fa, quando l’Università del Molise, e in particolar modo attraverso gli studi di Emilio Pietrolà che ha lavorato sul campo, è stata censita e studiata geneticamente, prima inserita nell’elenco delle razze caprine con un generico “grigia molisana o capra di Campobasso”, che si è dimostrata, pur in una popolazione fenotipicamante variegata, strettamente legata al territorio. In realtà, la Capra di Montefalcone, è una razza stanziale, cioè non legata direttamente al fenomeno della transumanza, ma la sua presenza nel territorio del tratturo prima citato, può rappresentare una risorsa per la comunità, che la salvaguarderebbe dall’estinzione – diminuzione preoccupante dei capi secondo le stime recenti – valorizzando le sue peculiarità di specie adatta a territori marginali, che ben s’integrerebbe nel recupero del tratturo, come valorizzazione delle biodiversità e delle forme agro-pastorali. Non solo, il recupero dei valori della transumanza, attraverso azioni pedagogiche nelle scuole, alla valorizzazione di forme artigianali, azioni per la conservazione e tutela dei paesaggi, azioni turistiche con escursioni guidate e degustazione, possono essere nello stesso tempo un valido supporto alla crescita della popolazione caprina, dando una remunerazione a chi con difficoltà ne sta portando avanti l’allevamento. A tal proposito, ci preme rilevare che lo stesso Pietrolà, con dati alla mano, ha dimostrato che il latte di capra, e quella di Montefalcone in particolar modo, per i biotipi diversi nella popolazione, è caratterizzato da diversi contenuti in proteine, che lo rende adatto all’alimentazione umana, bambini in particolare, intolleranti a diverse frazioni caseiniche, assenti in alcuni biotipi. Come dire, utilizzare capre diverse per ottenere latti diversi a secondo dell’intolleranza, potrebbe essere una grande risorsa per gli allevatori. Il Sindaco di Montefalcone nel Sannio, Gigino D’Angelo, presente a quest’appuntamento e a quello precedente sull’olio extravergine, si è mostrato molto interessato a questi studi e ha “preso appunti”, visto un concreto interessamento per il rilancio di questa razza autoctona.
Scuola del gusto
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