Immaginavo di avere un certo bagaglio sulla
terminologia enologica, non perché sia un esperto navigato, tutt’altro, ma tra
una marea di blog di sommelier e/o giornalisti di cui pullula la rete, pieni
zeppi di recensioni, spesso mirabolanti e degne delle performance della
migliore Tania Cagnotto – leggere la rubrica “parla come mangi” per farsi
un’idea – pensavo di averle sentite tutte. In effetti, così non è stato, anzi,
finalmente si torna con i piedi per terra, troppo forse: “vini semplici, beverini, talvolta
persino ingenui ma dallo strepitoso rapporto qualità/prezzo” e ancora “elogio
della semplicità enologica”. Tutto bene tranne che, quest’elogio alla
semplicità, in realtà, è rivolto ai vini molisani dalla più autorevole delle
guide, quella del Gambero Rosso, che puntualmente in questo periodo traccia un
resoconto sull’eccellenza enologica del bel paese. La cosa non mi ha fatto
sobbalzare dalla sedia, lo ammetto, però mi ha urtato un pò, non tanto per i
numeri e la visibilità su cui ho già ampiamente espresso la mia opinione, non
tanto per una qualità intrinseca in rampa di lancio, come la rispettabilissima
guida sottolinea, ma per quell’ingenuo che, sinceramente, non riesco a
collocare.
 
 
Estratto da Tre Bicchieri – Gambero Rosso
Se
scorriamo i significati che l’aggettivo può assumere, si passa da “innocente,
candido, privo di malizia
” a “semplice e schietto” che, da un punto di vista
enologico, per come la vedo io, rispecchia in pieno una realtà ancora inespressa,
lontano dalle luci della ribalta, mentre se vogliamo coglierne una sfumatura negativa,
si passa da “sempliciotto, credulone” a “disposto a farsi ingannare”. Cavolo, questi
in Molise ci sono proprio stati e non solo hanno valutato prodotti e produttori,
non come qualcuno che recensisce comodamente seduto a tavolino, ma hanno pure dato
una valutazione introspettiva del molisano medio. Non volendo infierire su
quest’ultimo aspetto che, da un punto di vista squisitamente enologico, non centra
un emerito tubo, ma che, per certi versi, attanaglia l’abitante del vecchio “Contado di Molise” e che lo pone di fronte a scelte importanti, come sulla devolution amministrativa
(macroregioni), non lo esclude da colpe su questa visione semplicistica della
realtà regionale, oggi alla ribalta nazionale più per il malaffare. L’azienda Di Majo Norante non si scopre certo adesso e il suo
livello qualitativo, come certificato annualmente dalle più importanti guide
enologiche, è di altissimo profilo, la “vera ambasciatrice della regione nel
mondo
”, come la definiscono quelli del Gambero Rosso. Peccato che, com’è
capitato a me più di una volta, questo connubio non sia sempre così concreto e visibile,
della serie: “si, Di Majo, grandi vini ma non sapevo fosse in Molise”. Altro
dato su cui riflettere è, come già avevo ampiamente anticipato in quest’articolo
su cui non mi dilungo avendone già sviscerato ampiamente il contenuto, che
invito ad andare a rileggere per completezza d’informazione, l’assenza dello
stesso produttore nello stand del Molise al Vinitaly.
 
Sistemazione aziende molisane all’ultimo Vinitaly
 
Passiamo
all’altro dato che emerge da questa diagnosi fatta dall’autorevole rivista. La
semplicità enologica di cui parlavo poc’anzi, al netto della mia analisi filologica
un po’ sopra le righe, in realtà, non è un dato negativo a mio avviso, tutt’altro.
Perché? L’attuale tendenza enologica si divide in due grandi filoni, da una
parte si cerca la conquista del consumatore con vini piacioni e ruffiani, dal
gusto internazionale, spingendo su affinamenti in legno piccolo (barrique) ed
estrazioni spinte, dall’altra si punta su vini più fini e delicati, cercando di
far esaltare la territorialità, attraverso affinamenti in legno grande ed
estrazioni controllate, in tal senso si collocano gli autoctoni. Quel “vini
semplici e talvolta ingenui
”, per come l’ho decifrato io, sta a indicare dei
vini ben fatti, scolastici, senza una particolare connotazione che possa dargli
un carattere distinguibile o associabile a una realtà produttiva. Mi spiego
meglio. L’azienda Di Majo Norante è riuscita, con anni di esperienza alle
spalle, grazie all’ausilio di una grande firma dell’enologia mondiale come
Riccardo Cotarella, consulente esterno della stessa, a conquistare la ribalta
con dei grandi vini con uno standard qualitativo elevatissimo, raggiunto con
anni di sperimentazione, come per il Contado, che da una nuova dimensione all’Aglianico,
il Don Luigi con il suo cuore di Montepulciano e l’Apianae, un passito da
Moscato reale di successo. Il Molise non è solo Di Majo, ma tante altre
aziende, molte nuove, che pagano lo scotto della gioventù, l’inesperienza. Ognuna
di esse si è affidata a una visione della produzione e d’interpretazione dei
risultati estemporanea, figlia di una politica di rientro degli investimenti
cospicui con prodotti a basso rischio, di facile approccio per il consumatore.
Se a questo aggiungiamo l’incapacità di gestire al meglio l’unico vitigno che
potesse dare la svolta al sistema, la Tintilia, con scelte produttive e
promozionali campanilistiche, senza l’egida restrittiva che solo un consorzio
di tutela può dare, ecco che, in un periodo di crisi, a pagare dazio sono per
primi i vini senza una connotazione territoriale.
 
 
 “Un solo premio nella regione che pure si muove
a grandi passi verso l’eccellenza. E nel 2013…..”, è la chiosa dei giudici del
Gambero Rosso, a testimonianza di potenzialità che ci sono, che possono esplodere
in qualsiasi momento, se solo si sanno cogliere le opportunità che il
territorio e la storia danno. I peccati di gioventù, come può accadere per le
realtà territoriali nate da appena mezzo secolo, il cui genetliaco cade proprio
il prossimo anno, si possono riparare solo con la consapevolezza della propria
forza e con la comunità d’intenti. E magari il Gambero, per tener fede alla sua natura, farà un
passo indietro.

Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com