Nell’edizione pomeridiana del TG3
regionale del giorno 6 settembre, in pieno clima vendemmiale, è andato in onda un servizio sul futuro
della vitivinicoltura molisana e in particolare sulle sorti della Tintilia,
l’autoctono simbolo dell’enologia regionale. Non conoscendone il contenuto,
sono andato alla ricerca del video che mette a nudo, dopo aver tessuto lodi e incensato
il vitigno e il relativo vino da più parti in questi ultimi anni, non senza
stupore, un vero e proprio malcontento in diversi produttori che, per chi vive quotidianamente
questa realtà come il sottoscritto, sono più di un semplice campanello di
allarme. In un periodo di crisi e di contrazione del mercato, che in generale
non ha intaccato il sistema vitivinicolo nazionale, si osserva, di contro,
un’inversione di tendenza per le cantine private della regione che si sono approvvigionate
negli anni delle uve prodotte da terzi, in particolare di Tintilia, per far
fronte all’aumento della domanda. Le difficoltà oggettive di vendita del vino
Tintilia in questo periodo, come affermato dai viticoltori intervistati, fa vacillare,
di fatto, questo mercato trasversale che teneva in vita parte della
vitivinicoltura regionale, o di quello che resta dopo la mattanza
dell’estirpazione massiccia che ha portato la superficie dai 9.236 Ha del 1982
ai 4.173 Ha del 2010 (dati del censimento agricoltura ISTAT 2010).
regionale del giorno 6 settembre, in pieno clima vendemmiale, è andato in onda un servizio sul futuro
della vitivinicoltura molisana e in particolare sulle sorti della Tintilia,
l’autoctono simbolo dell’enologia regionale. Non conoscendone il contenuto,
sono andato alla ricerca del video che mette a nudo, dopo aver tessuto lodi e incensato
il vitigno e il relativo vino da più parti in questi ultimi anni, non senza
stupore, un vero e proprio malcontento in diversi produttori che, per chi vive quotidianamente
questa realtà come il sottoscritto, sono più di un semplice campanello di
allarme. In un periodo di crisi e di contrazione del mercato, che in generale
non ha intaccato il sistema vitivinicolo nazionale, si osserva, di contro,
un’inversione di tendenza per le cantine private della regione che si sono approvvigionate
negli anni delle uve prodotte da terzi, in particolare di Tintilia, per far
fronte all’aumento della domanda. Le difficoltà oggettive di vendita del vino
Tintilia in questo periodo, come affermato dai viticoltori intervistati, fa vacillare,
di fatto, questo mercato trasversale che teneva in vita parte della
vitivinicoltura regionale, o di quello che resta dopo la mattanza
dell’estirpazione massiccia che ha portato la superficie dai 9.236 Ha del 1982
ai 4.173 Ha del 2010 (dati del censimento agricoltura ISTAT 2010).
Partiamo da
lontano e cerchiamo di capire quali sono i fattori che hanno determinato questo
saldo negativo del 29%, solo nel decennio 2000/2010, sulla superficie viticola
e sullo sviluppo del mercato enologico regionale, in particolar modo per la
Tintilia. Come già ho avuto modo di parlarne
in altri articoli, la Tintilia ha rappresentato il vero punto di svolta del
comparto vitivinicolo regionale, non tanto per il recupero del materiale
genetico o delle aree interne e marginali, di cui era padrona indiscussa fino
agli anni ’50 tanto che l’attuale territorio della regione Molise era il più
vitato del centro-sud con oltre 22.000 Ha, ma soprattutto come simbolo di
un’unità enologica territoriale ben determinata, un grimaldello che potesse
aprire nuovi scenari di mercato e fare uscire un’identità territoriale
pressoché sconosciuta. Il primo errore fu commesso, dopo la riforma fondiaria,
con la conversione delle aree marginali interne a cerealicoltura e lo sviluppo
di una viticoltura estensiva nel basso Molise, votata alla quantità più che
alla qualità, per scelte politico-produttive, come dimostra l’utilizzo del
sistema d’impianto a tendone, che decretano la nascita di grandi cantine
cooperative. Purtroppo questa scelta si è dimostrata fallimentare, non tanto
per la qualità delle produzioni o della laboriosità dei viticoltori, mai in
discussione, ma quanto per scelte politiche ed economico-organizzative che
hanno trasformato delle solide realtà cooperativistiche, o presunte tali, in
veri e propri bacini di voti e in un coacervo d’interessi personali e di
sperpero di denaro pubblico. Questa miopia ha portato, di contro, ed eccoci
arrivati ai giorni nostri, a una crescita forte di cantine private che, grazie a
una territorialità inespressa e a un vitigno a essa intimamente legato, hanno
dato nuova linfa a un settore ormai in decadenza. Ed ecco i primi
riconoscimenti per diversi vini, tra cui la Tintilia, e per diverse cantine
della regione, fino a qualche decennio fa ad appannaggio di una sola realtà
territoriale. Bisognava cavalcare l’onda ed ecco, quindi, nuovi impianti di
vigneti e riconversioni varietali con il vitigno Tintilia a farla da padrone,
anche grazie all’aiuto comunitario contenuto nella relativa OCM e sotto
l’azione della politica agricola regionale. Tutti, a diverso titolo, addetti e
non, hanno “cavalcato” l’onda emotiva distogliendo lo sguardo, probabilmente decisivo,
di una corretta opera promozionale e di marketing che non tenesse conto dei
diversi campanili, che purtroppo esistono. E non bastano dichiarazioni di
comunità d’intenti sulla necessità di una strategica opera di marketing, come
si evince dalle interviste che i singoli produttori rilasciano. A titolo
esemplificativo, per esempio, c’è chi ha deciso di affidarsi a firme
dell’enologia internazionale come chiave del successo e chi, invece, si trova a
lottare quotidianamente, spesso in prima persona, per cercare di mantenere o di
non perdere quote di mercato. Qual è la promozione strategica regionale? Qual è
il ruolo e quali sono le attività svolte dal Consorzio di tutela dei vini della
regione Molise? Cosa sono le strade del vino, e mi sono stancato di dirlo, se
non delle fredde tabelle, peraltro di difficile interpretazione, poste ai bordi
delle strade della regione?
lontano e cerchiamo di capire quali sono i fattori che hanno determinato questo
saldo negativo del 29%, solo nel decennio 2000/2010, sulla superficie viticola
e sullo sviluppo del mercato enologico regionale, in particolar modo per la
Tintilia. Come già ho avuto modo di parlarne
in altri articoli, la Tintilia ha rappresentato il vero punto di svolta del
comparto vitivinicolo regionale, non tanto per il recupero del materiale
genetico o delle aree interne e marginali, di cui era padrona indiscussa fino
agli anni ’50 tanto che l’attuale territorio della regione Molise era il più
vitato del centro-sud con oltre 22.000 Ha, ma soprattutto come simbolo di
un’unità enologica territoriale ben determinata, un grimaldello che potesse
aprire nuovi scenari di mercato e fare uscire un’identità territoriale
pressoché sconosciuta. Il primo errore fu commesso, dopo la riforma fondiaria,
con la conversione delle aree marginali interne a cerealicoltura e lo sviluppo
di una viticoltura estensiva nel basso Molise, votata alla quantità più che
alla qualità, per scelte politico-produttive, come dimostra l’utilizzo del
sistema d’impianto a tendone, che decretano la nascita di grandi cantine
cooperative. Purtroppo questa scelta si è dimostrata fallimentare, non tanto
per la qualità delle produzioni o della laboriosità dei viticoltori, mai in
discussione, ma quanto per scelte politiche ed economico-organizzative che
hanno trasformato delle solide realtà cooperativistiche, o presunte tali, in
veri e propri bacini di voti e in un coacervo d’interessi personali e di
sperpero di denaro pubblico. Questa miopia ha portato, di contro, ed eccoci
arrivati ai giorni nostri, a una crescita forte di cantine private che, grazie a
una territorialità inespressa e a un vitigno a essa intimamente legato, hanno
dato nuova linfa a un settore ormai in decadenza. Ed ecco i primi
riconoscimenti per diversi vini, tra cui la Tintilia, e per diverse cantine
della regione, fino a qualche decennio fa ad appannaggio di una sola realtà
territoriale. Bisognava cavalcare l’onda ed ecco, quindi, nuovi impianti di
vigneti e riconversioni varietali con il vitigno Tintilia a farla da padrone,
anche grazie all’aiuto comunitario contenuto nella relativa OCM e sotto
l’azione della politica agricola regionale. Tutti, a diverso titolo, addetti e
non, hanno “cavalcato” l’onda emotiva distogliendo lo sguardo, probabilmente decisivo,
di una corretta opera promozionale e di marketing che non tenesse conto dei
diversi campanili, che purtroppo esistono. E non bastano dichiarazioni di
comunità d’intenti sulla necessità di una strategica opera di marketing, come
si evince dalle interviste che i singoli produttori rilasciano. A titolo
esemplificativo, per esempio, c’è chi ha deciso di affidarsi a firme
dell’enologia internazionale come chiave del successo e chi, invece, si trova a
lottare quotidianamente, spesso in prima persona, per cercare di mantenere o di
non perdere quote di mercato. Qual è la promozione strategica regionale? Qual è
il ruolo e quali sono le attività svolte dal Consorzio di tutela dei vini della
regione Molise? Cosa sono le strade del vino, e mi sono stancato di dirlo, se
non delle fredde tabelle, peraltro di difficile interpretazione, poste ai bordi
delle strade della regione?
Certo, ci sono diverse persone che cercano di
mettersi a servizio delle aziende e del territorio spendendo la propria
professionalità e il proprio bagaglio personale, come l’amico Pasquale Di Lena,
già segretario generale dell’enoteca italiana di Siena, che tanto sta dando in
termini di visibilità all’intero territorio regionale e alle sue ricchezze storico-culturali
ed enogastronomiche. Dai produttori intervistati, quindi,
è lampante un sentimento di scoramento e d’impotenza di fronte all’evolversi
del mercato: essere costretti a estirpare un vitigno di cui si sono visti
incentivare la riconversione o il nuovo impianto. Purtroppo qualcosa
scricchiola e non è solo da imputare all’agonia delle realtà cooperativistiche
regionali, costrette ad accontentarsi di mercati marginali o di medio-basso
profilo, peraltro avvalorato dal fuggi-fuggi verso realtà del vicino Abruzzo (ma
qualche produttore non parlava di un rischio concreto di scippo della IGP Osco
o Terre degli Osci?) o dalla svendita sul mercato delle proprie uve per realtà
produttive ben lontane dalla nostra, soprattutto per il Trebbiano, ma in parte anche
per il Montepulciano. Da cosa dipende
tutto ciò? La mia piccola esperienza, al di
fuori dei confini regionali, ha messo a nudo una realtà che ai miei occhi poteva
sembrare diversa. Non mi riferisco assolutamente alla qualità e alla bontà
delle nostre produzioni di qualità, mai messa in discussione, ma quanto ad una
visibilità pressoché nulla. Il punto che forse si è trascurato maggiormente, e
che non mi stancherò mai di ripetere, è rappresentato dai volumi di prodotto da
immettere sul mercato, troppo piccoli perché possano diffondere capillarmente già
nel solo territorio nazionale. Basti pensare che la DOC Montepulciano
d’Abruzzo, per fare un esempio a noi vicino, diffusa e conosciuta in campo
internazionale, nel 2010 ha denunciato oltre 10.000 Ha d’impianti e circa
900.000 ettolitri di vino. Ed è solo una delle denominazioni, anche se tra le
più grandi d’Italia, e il confronto dei numeri è impietoso. Da dove partire
allora? Intanto radicando il consumo del vino e della Tintilia già in ambito
regionale attraverso una comunione d’intenti, su cui c’è ancora molta
diffidenza e scarso appeal ad appannaggio del Montepulciano come vitigno, più
diffuso e di qualità indiscussa.
mettersi a servizio delle aziende e del territorio spendendo la propria
professionalità e il proprio bagaglio personale, come l’amico Pasquale Di Lena,
già segretario generale dell’enoteca italiana di Siena, che tanto sta dando in
termini di visibilità all’intero territorio regionale e alle sue ricchezze storico-culturali
ed enogastronomiche. Dai produttori intervistati, quindi,
è lampante un sentimento di scoramento e d’impotenza di fronte all’evolversi
del mercato: essere costretti a estirpare un vitigno di cui si sono visti
incentivare la riconversione o il nuovo impianto. Purtroppo qualcosa
scricchiola e non è solo da imputare all’agonia delle realtà cooperativistiche
regionali, costrette ad accontentarsi di mercati marginali o di medio-basso
profilo, peraltro avvalorato dal fuggi-fuggi verso realtà del vicino Abruzzo (ma
qualche produttore non parlava di un rischio concreto di scippo della IGP Osco
o Terre degli Osci?) o dalla svendita sul mercato delle proprie uve per realtà
produttive ben lontane dalla nostra, soprattutto per il Trebbiano, ma in parte anche
per il Montepulciano. Da cosa dipende
tutto ciò? La mia piccola esperienza, al di
fuori dei confini regionali, ha messo a nudo una realtà che ai miei occhi poteva
sembrare diversa. Non mi riferisco assolutamente alla qualità e alla bontà
delle nostre produzioni di qualità, mai messa in discussione, ma quanto ad una
visibilità pressoché nulla. Il punto che forse si è trascurato maggiormente, e
che non mi stancherò mai di ripetere, è rappresentato dai volumi di prodotto da
immettere sul mercato, troppo piccoli perché possano diffondere capillarmente già
nel solo territorio nazionale. Basti pensare che la DOC Montepulciano
d’Abruzzo, per fare un esempio a noi vicino, diffusa e conosciuta in campo
internazionale, nel 2010 ha denunciato oltre 10.000 Ha d’impianti e circa
900.000 ettolitri di vino. Ed è solo una delle denominazioni, anche se tra le
più grandi d’Italia, e il confronto dei numeri è impietoso. Da dove partire
allora? Intanto radicando il consumo del vino e della Tintilia già in ambito
regionale attraverso una comunione d’intenti, su cui c’è ancora molta
diffidenza e scarso appeal ad appannaggio del Montepulciano come vitigno, più
diffuso e di qualità indiscussa.
Naturalmente mi riferisco al “consumatore
quotidiano”, alle nuove generazioni, e non ai soloni della degustazione o
presunti tali, di cui pullula la medio – alta borghesia enofila, educarli a un
consumo consapevole, alla riscoperta del territorio, sdoganando il concetto di
vino come bene di lusso, cosa che molte aziende stanno facendo anche come
tendenza del mercato ma che non rispecchia la realtà. Solo con una
consapevolezza maggiore delle proprie potenzialità a 360°, coinvolgendo anche
altre produzioni di qualità indiscussa, come olio extravergine e tartufo, solo
per citarne alcuni, in un contesto di ruralità senza eguali in termini
percentuali nel nostro paese, si può immaginare di uscire da un sostanziale stato
di anonimità che, aimè, tranne qualche distinguo più frutto di opera
individuale, è tangibile al di fuori dei confini regionali.
quotidiano”, alle nuove generazioni, e non ai soloni della degustazione o
presunti tali, di cui pullula la medio – alta borghesia enofila, educarli a un
consumo consapevole, alla riscoperta del territorio, sdoganando il concetto di
vino come bene di lusso, cosa che molte aziende stanno facendo anche come
tendenza del mercato ma che non rispecchia la realtà. Solo con una
consapevolezza maggiore delle proprie potenzialità a 360°, coinvolgendo anche
altre produzioni di qualità indiscussa, come olio extravergine e tartufo, solo
per citarne alcuni, in un contesto di ruralità senza eguali in termini
percentuali nel nostro paese, si può immaginare di uscire da un sostanziale stato
di anonimità che, aimè, tranne qualche distinguo più frutto di opera
individuale, è tangibile al di fuori dei confini regionali.
Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com
Condivido questo tuo ragionamento, come sempre attento, puntuale, che non nasconde le verità.
Grazie per la citazione che mi onora.
La tintilia ha bisogno di chi sa l'importamza del suo ruolo di testimone della vitivinicoltura molisana e dello stesso Molise e, soprattutto, di un'analisi attenta come quella che hai fatto tu con questo tuo articolo.
Figurati Pasquale, ma non puoi essere il solo a smuovere le coscienze o a farti carico di tutto. Dove sono le istituzioni? Che cosa si sta facendo in proposito? Il vigneto Molise sta morendo ed i numeri sono impietosi.
Hai detto tutto quello che c'era da dire.
Seb dove hai trovato il video? su youtube o sull'archivio del TGR? siccome mi avevano informato di questo servizio anche io ne ero alla ricerca.. molto interessante il tuo articolo.. grazie di averlo condiviso sul mio profilo FB
Ciao Daniele, l'ho preso dall'archivio del TGR. Ho tagliato la parte interessata e l'ho caricato su youtube. L'indirizzo è questo:
http://www.youtube.com/watch?v=6QcjmP_EFD4
Purtroppo non ne ha parlato nessuno e non ha avuto nessuna risonanza. Ad alcuni è scomoda la cosa, purtroppo. Tu da addetto al settore come la vedi?
si il video l'ho visto subito.. io penso che ho notato anch'io il fatto che abbiano tenuto nascosto la vicenda ed è davvero deplorevole.. si è pensato a mettere ai quattro venti solo quando la Tintilia otteneva premi nei vari concorsi o quando il primo giugno di un anno fa si è veduta riconoscere ufficialmente la DOC.. infatti non trovando il video ho provato a fare ricerca di qualche articolo sulla notizia.. 0 risultati.. ne rimango esterrefatto di questa notizia, la vedo come una mazzata tremenda per il vitigno, pensavo che stesse attraversando un momento roseo, come prerogativa di crescita sul mercato. ascoltando le parole dei viticoltori del servizio credo che si è avuto troppo entusiasmo.. si è pensato a fare, strafare senza pianificare, a produrre senza cercare uno sbocco sul mercato.. ho avvertito nelle parole dei viticoltori una certa costrizione ad impiantare Tintilia e coltivare questo vitigno.. cosa ti fa pensare una persona che dice "ci hanno detto di impiantare quest'uva, ora a chi la diamo? se è quest'anno così sarà così anche l'anno prossimo; cioè stiamo scherzando? penso che dietro non ci sia un lavoro di valorizzazione, promozione e marketing, non c'è un lavoro volto a promuovere il territorio, dovremmo pensare prima a promuovere l'intera regione; ogni azienda promuove il proprio territorio, il proprio prodotto, non c'è unione. Guardiamo ai grandi territori come se fossero sulla luna, li c'è tanto lavoro pregresso, ne hanno fatto di strada loro, cosa che dovremmo fare anche noi. Non c'è legame di territorio. Il consorzio per la valorizzazione dei vini (peraltro non sapevo dell'esistenza) DOC pensa solo alle DOC Biferno e Molise, e la Tintilia dov'è?
In realtà il Consorzio è nato nel 2002, la DOC tintilia non c'era. Ma a parte questo, da cittadino comune, hai mai notato qualcosa che facesse pensare di avere a che fare con un realtà vitivinicola? Non ti meravigliare che non sapevi dell'esistenza. In realtà non lo sa nessuno. Leggiti lo statuto……..
Ma ora c'è, però non si parla di tutela, valorizzazione e cura generale degli interessi (?) come fanno per le DOC Molise e Biferno; o almeno solo a parole. Sinceramente no Seb, non avrei mai pensato che il Molise fosse una realtà vitivinicola. Guardo il territorio, vedo solo cementificazioni a non finire, abusivismo, mal gestione del territorio, coltivazioni intensive, ti sposti qualche decina di km più a nord, non serve andare chissà dove, nel vastese ci sono intere zone disseminate di vigneti, non c'è la cultura del vigneto. Ma il presidente del consorzio è un semplice imprenditore agricolo di Larino? e gli altri anche sono di Larino? Incredibile: si chiama Consorzio per la valorizzazione dei vini DOC del Molise. Hanno dichiarato palesemente e quindi non si interessano nè della DOC Pentro, nè delle due IGT (Osco e Rotae, quest'ultima fantasma), nè, ad un anno dal riconoscimento, della DOC Tintilia.
Era il presidente della Valbiferno, ora fa tutt'altro ed è di Larino, dici bene. Gli altri non so chi siano, ma ad occhio e croce, sono rappresentanti delle altre cooperative. Ed è tutto un dire, l'ho già ribadito nell'articolo. Ho scoperto un'articolo farneticante pubblicato sulla gazzetta del Molise dell'9 settembre, senza firma. Leggilo a questo link:
http://www.lagazzettadelmolise.it/2012/09/08/quotidiano-9-settembre-2012/
Insomma fanno tutto loro. Dall'articolo della gazzetta, non mi torna una cosa: non capisco cosa c'entri il cambio del disciplinare con questo improvviso blocco di crescita, non penso che l'introduzione di nuove tipologie di prodotto Tintilia, oltre la tipologia rosso, abbia rappresentato un fattore compromettente. Stamattina ho letto un tuo articolo di giugno contenuto in questo blog (riguardo la presentazione libro di Di Lena), non sono d'accordo quando dici che le nuove tipologie permesse dal disciplinare abbiano snaturato il vitigno; ad oggi il disciplinare permette la produzione di vini Tintilia tipologia rosso, rosso riserva, rosato. Passito e spumante non sono incluse nel disciplinare, ma c'è chi ne produce. Non sono d'accordo in quanto un vitigno, ed è il caso della Tintilia, si può prestare alla produzione di varie tipologie di prodotti. I vini derivati da uve Tintilia, confrontati es. col Montepulciano, sono scarichi di colore, hanno il loro punto di forza nella componente aromatica, mostrano alte gradazioni alcoliche, possiedono un alto valore di estratto, corposità e struttura. Con queste qualità penso che si presti bene per la produzione di vini rosati aromatici, il problema della gradazione si risolve raccogliendo anticipatamente uve meno zuccherine e, che avranno inoltre maggiore acidità. Medesimamente la vedo per la produzione di uno spumante rosato. La tipologia passito ne esalta la corposità, la struttura, la corposità, la ricchezza di estratti. Devi pensare, quando ho iniziato il lavoro di tesi con le prime analisi e i primi assaggi sull'annata 2011, la mia correlatrice disse che la Tintilia potrebbe prestarsi bene alla vinificazione in bianco per la straordinaria carica aromatica che possiede in termini sia quantitativi che qualitativi.
Daniele, da un punto di vista squisitamente tecnico, quello che dici è inappuntabile. Il discorso è un altro: l'uso della tintilia a proprio uso e consumo, infischiandose della tipicità e delle caratteristiche del vitigno che colonizzava le colline alte della nostra regione. Ora, non possiamo parlare di tipicità, di tradizioni, di autoctono o di territorialità se non ha nulla a che fare col passato. Trovami uno scritto, un documento o qualcosa che dimostra che la tintilia era il sostentamento dei viticoltori di una volta o delle aziende produttrici attraverso lo spumante, il rosato o altro ritrovato enologico. Tale è, se vogliamo, anche la forzatura del discplinare che ne ha spostato di fatto la coltivazione verso il basso Molise, addirittura la si stava portando sulla costa. Perchè li ci sono le cantine, mi darai, ma anche gli interessi imprenditoriali. Ed infatti qualcuno ha pensato bene di arricchire la sua offerta. Ripeto, la tua posizione è comprensibile, ma smetti i panni di tecnico e ragiona in termini di promozione e marketing al di fuori dei confini della regione. Come ti proproni con la storia autoctono? Al consumatore medio interessa tutt'altro che la tecnologia, quella è alla portata di tutti e tutto è possibile, e allora che cosa usi per differenziarti se non la storia e il territorio?
"Come ti proproni con la storia autoctono? Al consumatore medio interessa tutt'altro che la tecnologia, quella è alla portata di tutti e tutto è possibile, e allora che cosa usi per differenziarti se non la storia e il territorio?"
Questa è l'essenza del marketing del vino. Quoto col sangue 😀 Facciamo con il vino, và, che è meglio 😀
Ladinod, le indicazioni in termini di promozione sono queste. Ormai la tecnologia non incanta più nessuno, in giro c'è di tutto di più. Si sta facendo leva sulla sostenibilità ambientale, sia in cantina che in vignento e sul biologico,e guarda caso ci si stanno fiondando tutti. Ma anche queste, sotto sotto, nascondono un'idea di marketing. Ci rimane il territorio e la storia e su quella bisogna investire. Di ottimi produzioni è pieno il mondo.
Allora leggendo questo articolo ho capito davvero qualche cosa in più, grazie mille. Io non ci capisco quasi niente del settore vitivinicolo, ma ho capito che può essere una buona risorsa se ci si lavora e ci si mette competenza e passione, cose che credo abbondino nella nostra terra. Purtroppo un altra cosa che abbonda da noi è la diffidenza e la sfiducia per i giovani e una cosa che manca è la capacità di fare squadra. Io voglio solo credere e poter dire un domani che abbiamo una cosa eccellente che ci fa lavorare e prosperare, e voglio credere che lavorando si possa vincere questa sfida.
Domenico Di Memmo
Grazie per il tuo contributo Domenico. Anche se non si hanno competenze dirette non significa che si debbano dire per forza cose sciocche, tutt'altro. Proprio ascoltando i non addetti al settore si possono capire tante cose. Purtroppo quello che non fanno le istituzioni e il risultato è davanti agli occhi di tutti. Bisogna trovare la forza di ripartire, di fare unione, magari con un Consorzio nuovo per la tutela della Tintilia, per non rischiare la scomparsa dei relativi vigneti e di parte della viticoltura regionale. E non dimentichiamoci i consumatori, soprattutto quelli del territorio.