potuto fare ed invece non si è fatta. A me è successo ripensando ai semi
perduti di mio nonno, Alberto De Lena, che faceva l’agricoltore in un paese del
Molise frentano (preferisco usare quest’espressione molto più identitaria
rispetto a “Basso Molise”, su suggerimento dell’ottimo Marcello Pastorini
dell’associazione “Itinerari frentani”).
L’ho conosciuto ovviamente che era già anziano ed è
grazie alle giornate estive trascorse con lui in campagna che io, nato
cittadino, mi sono appassionato all’agricoltura, fino a scegliere di
frequentare la facoltà di Agraria. Quando purtroppo è morto, ero uno
studentello abbastanza ignorante e non capii l’importanza, simbolica ma, ora
dico, anche estremamente pratica, di riprodurre i semi degli ortaggi che mio
nonno aveva lasciato, custoditi in scatolette di latta, nello scantinato. Dopo
qualche anno quei semi persero la facoltà germinativa e furono gettati via. Come
gli agricoltori facevano nel secolo scorso mio nonno solo raramente acquistava
i semi presso negozi o fiere e mercati; quando ciò avveniva era per
“rinsanguare” quelli che normalmente produceva da sé, scegliendoli dalle piante
migliori del suo orto. In altre parole faceva lui il miglioramento genetico e,
poco a poco, di ogni specie coltivata (melone, pomodoro, insalate ecc.) si
veniva a creare uno stock varietale adatto al suo terreno ed alle sue
esigenze.
tantissimi piccoli agricoltori italiani, si è creato nel secolo scorso (e nei
precedenti) quel ricchissimo patrimonio di varietà orticole presenti nel nostro
Paese, sì che ogni provincia, persino ogni contrada, avevano la propria
varietà, la propria tipicità. Poco a
poco però gli agricoltori hanno ceduto questa loro importantissima azione a
ditte specializzate, le ditte sementiere. Finché si tratta di normali aziende
agricole evolutesi e specializzatesi nella produzione di semente ciò ha
rappresentato una logica e positiva evoluzione nel modo di produrre sementi e
mantenere biodiversità. Il problema sorge quando però il controllo della
semente passa nelle mani di grosse aziende, multinazionali, il cui obiettivo principale
è quello di dominare grosse fette di mercato e rendere dipendenti gli utenti,
cioè gli agricoltori, dalle loro decisioni. Poco a poco l’agricoltore è stato
espropriato dell’importantissima funzione di custode della biodiversità
coltivata, e della possibilità di reperire la semente più appropriata per le
condizioni agro-ambientali della sua azienda. Nel caso specifico delle colture
orticole, inoltre, un altro fattore sta nella abitudine, ormai generalizzata da
parte di agricoltori, sia professionali che hobbysti, di utilizzare piantine da
trapiantare acquistate in vivaio, e non di prodursele da sé, o fare la semina
diretta. Naturalmente i vivaisti tendono ad acquistare le sementi dalle grosse
ditte sementiere e solo in pochi casi promuovono e diffondono le varietà
locali.
proposta di legge volta proprio a ridare un ruolo attivo agli agricoltori per
la conservazione e valorizzazione della biodiversità coltivata. Ciò non solo
per salvaguardare e rendere disponibili le poche varietà tradizionalmente
coltivate nel nostro territorio ed ancora disponibili, ma anche per contribuire
al loro miglioramento. Non bisogna infatti pensare che un patrimonio genetico
sia qualcosa di definito, stabile ed immutabile: all’interno di ogni varietà si
possono selezionare ceppi (ecotipi quando ciò avviene in modo spontaneo)
migliorati che eliminino alcune caratteristiche negative (es. la suscettibilità
ad una data malattia) e ne esaltino altre positive (ad es. i caratteri
organolettici, le dimensioni del frutto, l’adattamento ad un terreno marginale
ecc.). Questo utile lavoro di selezione e miglioramento può essere fatto dagli
stessi agricoltori che anzi, proprio perché legati ad uno specifico e
particolare ambiente, quello della loro azienda, possono, con gli anni e
l’esperienza, ottenere ottimi risultati in questo senso, affiancati da
ricercatori e tecnici. Si tratta in sostanza di introdurre e diffondere anche
nella nostra regione il cosiddetto “miglioramento genetico partecipativo”, di
cui massimo esperto è il prof. Salvatore Ceccarelli, genetista che, grazie alla
collaborazione di Aiab Molise al progetto “Solibam”, è stato a visitare alcune
aziende molisane nello scorso mese di giugno.
Quello della conservazione, o meglio, del recupero della biodiversità, è un passo importante anche per la valorizzazione della nostra realtà territoriale, un vero scrigno di ricchezze, basti pensare alle coultivar autoctone di olivo. Ben vengano tutte quelle iniziative che operino in tal senso, anche se, a volte, sembra di "combattere contro i mulini a vento".