Siamo alla vigilia del più importante evento enologico nazionale, vetrina di prestigio per il principe dell’agroalimentare italiano, e tutti, a diverso titolo, si lanciano in previsioni, realtà e prospettive della vitivinicoltura italiana, ricca di mille sfaccettature, fucina d’eccellenze, pregna di storia e tradizioni. Tra queste voci, quella senza dubbio più autorevole, quella da cui dipendono le scelte future, quella competente da cui tutti si attendono un segnale forte che indirizzi l’intero comparto verso un ulteriore rafforzamento portando alla ribalta, ove necessario, il made in Italy, è quella del Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Mario Catania.
Non sono mancati i suoi interventi in questa vigilia veronese, a partire dalla realtà produttiva e dalla sua gestione alla luce della nuova OCM, che confermerà, come sembra, quella attualmente in vigore, dai successi enologici e dalle strategie future, in ambito di marketing e comunicazione, da adottare per confermare questo trend positivo.
In particolare, vorrei riportare alcuni passaggi dell’intervista rilasciata a Tre Bicchieri, il quotidiano del Gambero Rosso, che ha come filo conduttore l’abolizione dei diritti d’impianto, di cui ho abbondantemente parlato quì. Il Ministro, alla domanda sull’utilità di mantenere in vita questo meccanismo di tipo protezionistico, risponde affermando che “l’Europa non è l’Australia e la filiera vinicola è un sistema produttivo delicato che non può essere abbandonato rischiando, senza l’ombrello dei diritti d’impianto, lo sconvolgimento di equilibri secolari”. Inoltre, “il vino non è una commodity replicabile ovunque, indifferentemente. I vini di Bordeaux si possono fare solo lì e le nostre doc nascono dalla storia e dalla sapienza dei territori”. Naturalmente, come già avevo ribadito in questo post, c’è quasi l’unanimità del mondo produttivo europeo sulla revisione di tale aspetto che penalizzerebbe, oltremodo, alcune realtà produttive. “L’obiettivo originale era quello di abbattere i caposaldi di una politica agricola europea protezionistica e corporativa attraverso l’abolizione degli aiuti alla produzione, come distillazione e vendemmie verdi, e l’estirpazione di vigneti“, ribadisce Catania nell’intervista e di cui, personalmente, condivido in pieno l’obiettivo, quello di dare un taglio ai rami secchi che, stranamente, ancora fagocitavano aiuti pubblici. La scelta di destinare questi aiuti alla promozione si è rivelata strategica, soprattutto per il nostro paese, come conferma il ministro Catania: “il ministro Paolo De Castro, portò a casa il plafond più alto e il ministro francese dell’agricoltura si complimentò con me, che accompagnavo De Castro, dicendomi che avevamo negoziato molto meglio dei francesi. Ciò ha permesso di fare della viticoltura italiana il gioiello produttivo che conosciamo, la voce più importante del made in Italy agroalimentare, la prima della bilancia commerciale con 4,4 miliardi di euro di esportazioni”.
In particolare, vorrei riportare alcuni passaggi dell’intervista rilasciata a Tre Bicchieri, il quotidiano del Gambero Rosso, che ha come filo conduttore l’abolizione dei diritti d’impianto, di cui ho abbondantemente parlato quì. Il Ministro, alla domanda sull’utilità di mantenere in vita questo meccanismo di tipo protezionistico, risponde affermando che “l’Europa non è l’Australia e la filiera vinicola è un sistema produttivo delicato che non può essere abbandonato rischiando, senza l’ombrello dei diritti d’impianto, lo sconvolgimento di equilibri secolari”. Inoltre, “il vino non è una commodity replicabile ovunque, indifferentemente. I vini di Bordeaux si possono fare solo lì e le nostre doc nascono dalla storia e dalla sapienza dei territori”. Naturalmente, come già avevo ribadito in questo post, c’è quasi l’unanimità del mondo produttivo europeo sulla revisione di tale aspetto che penalizzerebbe, oltremodo, alcune realtà produttive. “L’obiettivo originale era quello di abbattere i caposaldi di una politica agricola europea protezionistica e corporativa attraverso l’abolizione degli aiuti alla produzione, come distillazione e vendemmie verdi, e l’estirpazione di vigneti“, ribadisce Catania nell’intervista e di cui, personalmente, condivido in pieno l’obiettivo, quello di dare un taglio ai rami secchi che, stranamente, ancora fagocitavano aiuti pubblici. La scelta di destinare questi aiuti alla promozione si è rivelata strategica, soprattutto per il nostro paese, come conferma il ministro Catania: “il ministro Paolo De Castro, portò a casa il plafond più alto e il ministro francese dell’agricoltura si complimentò con me, che accompagnavo De Castro, dicendomi che avevamo negoziato molto meglio dei francesi. Ciò ha permesso di fare della viticoltura italiana il gioiello produttivo che conosciamo, la voce più importante del made in Italy agroalimentare, la prima della bilancia commerciale con 4,4 miliardi di euro di esportazioni”.
L’obiettivo principale, secondo Catania, per affrontare le “battaglie” future è quello di crescere in qualità e dimensione delle aziende, troppo frammentate e spesso con strategie di mercato aziendalistiche, aggiungo io, che piuttosto contribuiscono a creare confusioni nel consumatore, vista la complessità del panorama enologico nazionale, anziché proporsi come aggregazioni territoriali, con delle vere e proprie reti d’impresa, che facciano da traino anche alla altre denominazioni, spesso all’ombra, come dimostrato dall’indagine Ismea e di cui ho avuto modo di parlarne in maniera approfondita in quest’altro post.
Il ministro Catania, a tal proposito, infatti, pone l’accento sull’abbondanza delle denominazioni nel nostro paese, in quanto “le 500 tra Doc e Dogc, forse, sono troppe anche se il gran numero di vitigni e di vini è una grande ricchezza del Paese. Oggi e in prospettiva perchè credo che alla lunga il mondo si stancherà di bere solo Cabernet Sauvignon e Merlot”. Questo è quello che ci auguriamo noi italiani, nel rispetto di un sano campanilismo, naturalmente. Vedremo come intenderà perseguire questi obiettivi nel suo intervento al Vinitaly.
Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com
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