La Politica Agricola Comune (PAC) e’ un insieme di norme che, a livello comunitario, mirano a regolare il comparto agricolo. Uno degli strumenti di applicazione di queste norme si chiama Organizzazione Comune di Mercato (OCM), dal 2008 unificata per tutti i settori agricoli. Da più di vent’anni tutte le riforme della PAC si ispirano al principio della liberalizzazione ai fini della competitività, anche se, produrre indiscriminatamente in condizioni di eccedenza, in genere, non risolve le crisi di mercato. A tal proposito, uno dei temi più dibattuti in ambito internazionale, riguardo alla riforma del settore vitivinicolo, è la liberalizzazione dei diritti di impianto in viticoltura. Questi hanno sempre rappresentato, nella regolamentazione comunitaria di settore, lo strumento essenziale di controllo e di gestione delle produzioni, contribuendo a mantenere gli equilibri tra domanda ed offerta. Tali paure si sono concretizzate, infatti, con la previsione di abbandono dell’utilizzo dei diritti di impianto codificato dall’ultima OCM (Ex Regolamento CE n. 479/2008 del 29 aprile 2008, traslato nel Reg. CE n. 1234/07). Al Titolo V di detto regolamento (Potenziale di Produzione, Capitolo II) è, infatti, previsto che il sistema di diritti di impianto, attualmente in vigore, scompaia il 31 dicembre 2015 (salvo facoltà degli Stati membri di prolungarlo al loro interno fino a tutto il 2018), con la giustificazione, da parte della Commissione proponente, di aumentare la competitività dei produttori europei in modo da riconquistare fette di mercato in mano ai competitor del nuovo mondo enologico (Australia, Nuova Zelanda, Cile ecc.), preservando la centralità della tradizione vitivinicola europea. Deve anche essere sottolineato che, in tutti questi anni di applicazione del divieto di impianto, quasi tutte le zone viticole di maggior successo, anche nel nostro paese, hanno potuto crescere nel loro potenziale produttivo, come dimostra la seguente tabella riferita ad alcune DOCG e DOC italiane (dati Federdoc).
Fonte: Federdoc – Funzione dei “diritti di impianto” in viticoltura |
Inoltre, l’esistenza del regime dei diritti di impianto non ha mai costituito un freno all’accesso a nuovi vigneti e relative produzioni: infatti, il mercato dei diritti è libero e le riserve regionali sono a disposizione delle produzioni richieste dal mercato.
L’effetto di questo provvedimento ha suscitato, e lo farà nel prossimo futuro, un vespaio di polemiche circa i benefici o, per meglio dire, i danni che tale adeguamento porterà all’intera vitivinicoltura europea. Per tale motivo, molti stati si sono adoperati esprimendo una posizione comune circa l’inadeguatezza di tale norma, esprimendo un forte dissenso verso l’applicazione della stessa. Il fronte del no conta oggi 14 Stati membri, rappresentanti 205 voti, favorevoli alla revisione di questo punto dell’Ocm vino. Ad oggi, mancano 40 voti per avere la maggioranza qualificata che costringerebbe la Commissione Ue a rivedere i suoi piani nel quadro della riforma Pac. A tal proposito, l’Arev, Assemblea delle regioni viticole europee (75 regioni di 18 Paesi), ha presentato uno studio realizzato dal Moisa, l’unità di ricerca di Montpellier, sugli impatti socio-economici e territoriali, analizzando i casi di Australia, Argentina, Spagna, Francia, e Portogallo, con l’obiettivo di coinvolgere altri paesi come il Belgio (12 voti), la Bulgaria (10 voti) e la Polonia (27 voti). In effetti, ci sono stati già i primi risultati in quanto la Bulgaria, dopo tale sollecitazione, dice no alla liberalizzazione di diritti d’impianto. Salgono così a 15 i Paesi europei che chiedono al Commissario Ue all’Agricoltura, Dacian Ciolos (che parteciperà al Vinitaly), il mantenimento del regime dei diritti.
Secondo tale studio, “l’abolizione dei diritti di impianto si tradurrebbe nel calo dei prezzi legato alla crescita dell’offerta”, che porterebbe, come per l’Australia, a squilibri di mercato derivanti dalla sovrapproduzione con conseguenti estirpazioni, crolli dei valori fondiari e fallimenti. Inoltre, “in Europa, negli ultimi dieci anni, il numero di aziende si è ridotto e la superficie unitaria è cresciuta, e non sarà l’aumento della superficie media, derivante dall’abolizione dei diritti, a far crescere i redditi”, dato confutato anche nel nostro paese, come già dimostrato dalla tabella precedente.
Ma il dato preoccupante, sempre secondo l’Arev, è che “la liberalizzazione degli impianti avrà un impatto diretto sulla delocalizzazione dei vigneti” con la scomparsa di pesaggi che hanno fatto della vitivinicoltura la loro economia con il realtivo spostamento verso le zone di pianura. Di conseguenza, si “colpirà il sistema enoturistico oltre che la competitività dei vigneti di montagna, con le conseguenze ambientali che ne derivano”. La conclusione dell’Arev, già in parte paventata dai sostenitori del no, è che si avrà la tendenza ad un’industrializzazione del settore vinicolo con aziende, pressate dalla crisi, che hanno sempre più necessità di investimenti veloci e di produrre volumi da smerciare rapidamente.
La liberalizzazione dei diritti di impianto è una partita tutt’altro che chiusa, non solo perchè il quorum per ottenere la revisione è vicino (mancano 25 voti), ma perchè tra gli oppositori figurano Italia, Francia e Spagna, ossia la vitivinicoltura europea. I diritti di impianto, oltre a consentire la regolazione dell’offerta, rappresentano anche uno strumento di gestione ragionata delle zone di produzione a beneficio del patrimonio viticolo collettivo e del binomio vigneto/regione; la perdita di tale strumento favorirà la delocalizzazione dei vigneti verso zone facilmente meccanizzabili con il depauperamento di territori. In alcune aree si assiste già ad un pre-posizionamento di operatori che dispongono di capitali in vista dell’espansione della propria azienda a svantaggio dei piccoli produttori, che sono fermamente contrari a tale provvedimento.
Personalmente, ritengo più opportuno insistere, come già in parte è stato fatto nell’ultima OCM, sullo spostamento delle risorse finanziarie della distillazione e delle vendemmie verdi alla promozione. Basta con lo sperpero di denaro pubblico, che serve a preservare realtà ormai prossime al collasso, per incapacità manageriali o per strani giochi di potere, con il solo intento di “mungere” finanziamenti pubblici. Le vacche, oltre a non essere più grasse, sono diventate anche parsimoniose.
Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com
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Il Ministro Mario Catania, proprio oggi, esprime la propria opinione sulla liberalizzazione degli impianti secondo la OCM vino.
"L'Italia è contraria alla norma perchè provocherebbe degli squilibri di produzione e migrazione delle vigne dalle colline alle pianure. Non possiamo permetterci di far perdere al nostro vino la credibilità acquisita".