Come ogni fine anno è tempo di bilanci. Naturalmente anche il vino non è fuori da questa logica e, dopo l’abbuffata di giudizi più o meno lusinghieri a suon di grappoli e bicchieri, ci troviamo di fronte a quello che può essere ritenuto il gota dell’Italia enoica, ossia la Top 100 dei migliori vini rossi. Questo pagellone di eccellenze è stato redatto, come accade annualmente, da “Gentleman”, magazine di Milano Finanza, che ha praticamente incrociato i punteggi delle cinque più autorevoli guide enologiche (Gambero Rosso, l’Espresso, Veronelli, Associazione Italiana Sommelier e Luca Maroni) oltre che tener conto del posizionamento delle bottiglie italiane nella graduatoria della rivista Wine Spectator.
Fonte: Gentleman (Milano Finanza) |
Quello che balza immediamente all’occhio, ma già ampiamente preannunciato, è la conquista della vetta da parte del Primitivo di Manduria di Gianfranco Fino, una “new entry” destinata a rimanere in posizioni di vertice a lungo. Una vittoria annunciata, come dicevo, quella dell’Es 2009, che ha messo d’accordo tutte le guide e che rappresenta una realtà territoriale nuova nel panorama vitivinicolo nazionale con un vitigno, il Primitivo, di provenienza dalmaziana, che è ormai considerato a tutti gli effetti un autoctono, peraltro geneticamente uguale allo Zinfandel californiano, di cui ne condivide le origini.
Secondo qualche guru dell’enologia italiana, il terroir di elezione di questo vitigno non sarebbe la Puglia e ne tantomeno il territorio di Manduria e che tale successo, per lo più varietale, beneficierebbe in particolar modo sia di vigneti vecchi, condizione imprescindibile per l’ottenimento di grandi vini, peraltro vero nel caso dell’Es, sia di un’esposizione favorevole, che beneficia di brezze marine, ma che è poco rappresentativa di questo territorio. Di contro, però, un altro piccolo successo a favore di tale vitigno e della Puglia è stato raggiunto: in classifica al 24° posto c’è un altro Primitivo, questa volta di Gioa del Colle, nell’entroterra barese, dove il mare è stato avvistato per l’ultima volta, probabilmente, nel pleistocene. Per non essere il territorio di elezione, proprio schifo non fa. Se poi anche Bruno Vespa, notizia fresca questa, con alcuni amici veneti, tra cui Camilla Rossi Chauvenet della Massimago in Valpolicella, investono in un’azienda viticola a Manduria, gatta ci cova.
Il Primitivo e la Puglia rappresentano il “nuovo che avanza”. Dato, quest’ultimo, ulteriormente avvalorato dalla composione della top ten: ben otto provenienti da regioni diverse e molte dal centro-sud. Come non notare la presenza di ben due Montepulciano d’Abruzzo: il Villa Gemma 2007 del compianto Masciarelli, produttore straordinario, vorticoso di idee ma conservatore al tempo stesso, capace di dare lustro a questo vitigno e all’Abruzzo nel mondo o come il San Calisto 2008 di Valle Reale, piccola realtà produttiva incastonata nel cuore nell’Abruzzo, al di fuori dell’areale preponderande della denominazione.
Come non notare la presenza di due Aglianico, uno in purezza, quello del Taburno con La Rivolta Riserva 2008, in provincia di Benevento , e l’altro il Terra di Lavoro 2009 di Galardi, in uvaggio con Piedirosso, ai piedi del vulcano spento di Roccamonfina in provincia di Caserta?
Ad onor del vero, nella Top 100, ed in particolar modo nelle prime posizioni, mancano alcuni dei più blasonati vini italiani, soprattutto langaroli, per esempio il Barolo Monfortino, o toscani, come Ornellaia e Masseto, per via dell’assenza in alcune guide del voto dell’annata in commercio. Seppur monca, la Top 100 dei vini rossi italiani non nasconde che ci sia una ventata nuova e che questo piccolo vantaggio, senza i soliti noti, possa portare ad una maggiore visibilità di realtà produttive che per potenzialità ed espressione territoriale non hanno nulla da invidiare ai pluridecorati connazionali.
Vorrei spendere due parole, per finire, sulla mia terra, il Molise. Una realtà giovane ma dinamica che stà scoprendo una territorialità e una vocazionalità mai sentite in passato, tranne che per alcune eccezioni, grazie alla lungimiranza di giovani produttori che, sotto la spinta della riscoperta di un vitigno autoctono, il Tintilia, da quasi dimenticato nella memoria collettiva a DOC nel 2011, stanno scalando i consensi della critica. Mi piace ricordare, in questa sede, che tra le cento migliori cantine del bel paese selezionate dalla celebre rivista Wine Spectator per “Opera Wine“, appuntamento di apertura del Vinitaly 2012, c’è la Di Majo Norante, fiore all’occhiello della nostra regione.
Sebastiano Di Maria
Volevo innanzitutto complimentarmi per l'iniziativa che hai intrapreso, so che ti stà a cuore. Un altro piccolo passo in avanti per dare una maggiore visibilità ad una realtà come la nostra, spesso ai margini, oltre che depauperata e saccheggiata da chi dovrebbe rappresentarci. Manca una vera politica di promozione del territorio, delle tradizioni e della cultura. Pecchiamo di numeri, questo è vero, ma non di qualità. Credo che debbano insegnare, come sostieni, i risultati che stà ottenendo l'Abruzzo, forse più vicino a noi da un punto di vista di territorialità, o la Puglia, regione di solito associata a produzioni di quantità come cereali, uva e vino, olive ed olio, priva, come sembra, di una particolare vocazione territoriale. Non so se quest'ultima cosa sia vera, ma certamente la passione, la dedizione e l'amore che si mette nel proprio lavoro a volte possono fare "miracoli".
Grazie per l'attestato di fiducia. Per quanto riguarda le potenzialità della nostra terra ed in generale del meridione d'Italia, sono indubbie, come spesso ribadito da due grandi esperti di viticoltura come Scienza e Fregoni. Nel contempo, facciamo registrare un consumo di vino più basso rispetto al nord del paese e su questo bisogna lavorarci molto, oltre a peccare dal punto di vista di strategie commerciali. Ed ecco quindi che bisogna puntare su dati di forza oggettivi come le novità produttive legate ad un grande patrimonio ampelografico che, se adeguatamente valorizzato, può portare a delle eccellenze (chissà perchè molti imprenditori del vino stanno investendo al sud?). Da un lato ci siamo accorti che si contribuiva alla qualità del vino del Nord, quando la stessa si poteva fare in casa, ma, aimè, di contro, c'è stata anche una pericolosa contrazione di vigneti negli ultimi anni, frutto di scelte scellerate e gestioni cooperativistiche poco trasparenti.
A conferma di quanto detto prima, ci sono dei dati relativi alle esportazioni rispetto agli investimenti in promozione che confermano quasta inversione di tendenza. Non li ho sottomano in questo momento, ma posso dire con certezza che una regione come il Piemonte, a fronte di un massiccio investimento in termini di promozione non è corrisposto un incremento di vendite. Viceversa per la Campania, con poche migliaia di euro si sono ottenuti dei risultati eccellenti. Questo dato si conferma per molte realtà del centro-sud. Si è imboccati la strada giusta, ma ci vorrà molto tempo e le giuste strategie.