Un tentativo di ricostruzione della storia industriale di Larino tra Ottocento e Novecento non può prescindere dalla storia di una famiglia di imprenditori, quale quella dei Battista, che proiettò la cittadina in una dimensione singolare rispetto al resto della regione grazie alle prime sperimentazioni di elettricità. La scoperta dell’elettricità e della sua trasmissibilità a distanza aprì nuove ed insperate prospettive di sfruttamento della nuova energia a scopi industriali permettendole il definitivo passaggio dagli aspetti propri della proto-industria a quelli tipici della grande industria. Il processo di localizzazione dell’industria molitoria e pastaia larinese nell’Ottocento fu favorito da diversi fattori, la gran parte dei quali ebbe una rilevanza solo locale: la posizione geografica favorevole alla commercializzazione della produzione grazie alla presenza della stazione ferroviaria, elemento imprescindibile per lo sviluppo dell’economia e degli scambi, il cui impianto sul territorio influenzò lo sviluppo del tessuto urbano e la dislocazione delle prime industrie intorno ad essa, la presenza del fiume Biferno e lo sfruttamento delle sue acque a scopi industriali e, in particolar modo, la notevole disponibilità di grano duro.
L’attività industriale della famiglia Battista si concentrò sul Piano San Leonardo, a pochi passi dall’Anfiteatro, il sito archeologico che conserva numerosi segni della cultura millenaria della città. A sottolineare lo spirito innovativo di questa famiglia, e in modo particolare la figura del capostipite Gaetano Battista, è la dedica fatta a quest’ultimo da uno dei suoi figli, Michele Battista. Consigliere della corte di Cassazione del Regno, il Dott. Michele Battista, impegnato nei suoi studi giuridici, pubblicò, nel 1902, un libro intitolato “Legge 24 dicembre 1896, n° 547 su le licenze per rilascio di beni immobili: commento con i lavori preparatorii, con la dottrina e la giurisprudenza”, dedicandolo al padre. Nato a Castropignano nel 1826, Gaetano Battista si trasferì a Larino nel 1845 e nel 1848 sposò Chiara Raimondo, dalla quale ebbe due figli. Dopo la morte della prima moglie avvenuta nel 1853, sposò nel 1854 Carolina Colagiovanni, dalla quale ebbe 12 figli. Tre giorni prima della sua morte, avvenuta nel 1876, Gaetano redasse il suo testamento lasciando ai figli un cospicuo patrimonio costituito da case dislocate per lo più alla via Cluenzio, masserie e vigne alcune delle quali site sulle Piane di Larino. In modo particolare si evince che a tre dei sei suoi figli maschi, Pasquale, Antonio e Francesco restò assegnato, in proprietà, il suolo edificatorio sito in contrada S. Leonardo, sul quale vi edificarono il loro mulino elettrico. Altri tre figli maschi intrapresero strade diverse: Michele, noto magistrato agli inizi del Novecento, fu consigliere della Corte di Cassazione del Regno e si dedicò alla stesura di innumerevoli manuali inerenti le nozioni giuridiche; Giuseppe studiò medicina e divenne presto direttore sanitario dell’ospedale di Larino e ufficiale sanitario della Commissione di igiene; Raffaele, dopo aver ultimato gli studi di ingegneria al Politecnico di Torino, fu attivo a Larino e Campobasso tra Otto e Novecento e fu progettista di Villa Palma a Larino, edificata tra il 1908 e il 1911, e direttore dei lavori del Teatro Savoia di Campobasso.
I germani Pasquale, Antonio e Francesco Battista, uniti in società irregolare in nome collettivo, esercitavano da molti anni, il commercio di compravendita di cereali, e gestivano anche un mulino a vapore e pastificio Battista-Colagiovanni sito in via Cluenzio (1880), realizzando utili notevoli. Nel 1897 i Battista impiantarono sul Piano San Leonardo un mulino a cilindri, esaurendo tutte le risorse finanziarie e ricorrendo a forti prestiti e sovvenzioni. Sperando di poter vincere il disagio economico, allargarono sempre più la cerchia delle loro attività industriali, e nel 1898 presero in fitto per 30 anni due mulini di proprietà del signor Clemente Celli, siti in Guglionesi sulle sponde del fiume Biferno. L’intento era quello di impiantare su uno di questi due mulini una centrale idroelettrica, che avrebbe dovuto consentire non soltanto di aumentare la capacità produttiva dei loro opifici molitori ma anche di fornire illuminazione a quattro comuni limitrofi, quali Larino, Guglionesi, Termoli, Montecilfone. Il progetto dell’impianto elettrico fu realizzato da Raffaele, il quale si avvalse della collaborazione di tecnici provenienti dal nord, sfruttando con intelligenza il know how acquisito studiando in una delle regioni italiane più avanti sulla strada della costruzione di impianti idroelettrici: il Piemonte. Se da un punto di vista tecnico l’iniziativa si rilevò proficua per le attività dell’impresa familiare, che si avvantaggiò delle nuove fonti di energia, nel medio termine non altrettanto positivo fu il bilancio dell’attività imprenditoriale che continuò fino alla seconda Guerra mondiale.
Il piano San Leonardo era inizialmente adibito per la fiera di animali che aveva luogo nel mese di ottobre, in occasione della quale, il Comune appaltava il terreno da occuparsi temporaneamente per la costruzione di baracche. Detta zona che era improduttiva per naturale sterilità, aveva un sottosuolo ricco di materiali tufacei adatti per la costruzione, la quale utilità era indebitamente sfruttata dai sigg. Battista e Calvitti. Intento di tutte le amministrazioni era quello di promuovere lo sviluppo dell’edilizia, di cui il Comune aveva tanto bisogno, data anche la sua posizione topografica. Pertanto con deliberazione del 17 agosto 1900, si stabilì un premio di cinque lire per ogni metro quadrato di suolo che si fosse coperto di case di abitazione, magazzini di deposito ed opifici industriali lungo la strada Nazionale tra il ponte e la stazione ferroviaria, mentre nella seduta del 14 novembre 1904 vennero presentate delle norme per la concessione di suoli sul Piano San Leonardo, la cui discussione venne affidata alla formazione di un piano regolatore redatto, nel 1906, dall’ingegnere Enrico Vetta. Fu proprio in quegli anni, e precisamente nel 1905, che la ditta Battista avviò la costruzione sia del pastificio, che entrò in funzione nel 1923, sia di un’officina meccanica con fonderia e ciminiera, il cui progetto venne ideato dall’ingegnere Raffaele Battista. L’iniziativa dei Battista di costruire questi impianti industriali avrebbe apportato numerosi vantaggi morali e materiali alla comunità, dando non solo lavoro a molti operai ma anche determinando la costruzione di case operaie.
La questione delle case operaie emerse nel 1919, allorquando l’Unione Cooperativa Frentana si rivolse al sindaco di Larino per chiedere la concessione gratuita di suoli sul Piano San Leonardo per la costruzione di case operaie, poiché le abitazioni nel paese erano insufficienti ed antigieniche. Tale concessione, inoltre, venne fatta ad un nucleo di operai desiderosi di lavorare in un grave momento di crisi in cui la disoccupazione li spingeva alla miseria. La Cooperativa non esibì il disegno delle case che intendeva costruire sulle aree richieste essendo disposta ad uniformarsi al disegno incluso nel Piano Regolatore (Case ad alloggio a due piani con due locali al primo piano e tre al secondo, a cui si accedeva tramite una scala interna, dotate di orto o giardino). Il progetto delle case operaie fu pensato per la riqualificazione diretta del Piano San Leonardo, mediante un insieme coordinato di opere che attenevano ai servizi, alle strade, agli spazi comuni e al verde. Aspetti sociali prima che prettamente urbanistici nella esplicitazione del ruolo che i quartieri hanno rivestito nella socialità della città contemporanea nelle cicliche fasi di accelerato inurbamento e di espansione intorno alla stazione ferroviaria, sino alla creazione di un vero e proprio centro urbano.
Facendo un passo a ritroso e ricollegandoci all’intensa attività industriale della Ditta Battista, sebbene tutto ciò da una parte attestava del prodigioso sviluppo dell’azienda, dall’altra scavava sempre più profondo il baratro della passività, che non fu poi più possibile colmare. Basti pensare che nel 1910 Pasquale Battista, in qualità di socio, recedette dalla società di fatto esistente tra lui ed i suoi due fratelli Antonio e Francesco comportando presto il declino dell’attività. Nel 1914 Antonio e Francesco Battista si rivolsero al Tribunale di Larino formulando la proposta di cedere l’intero patrimonio industriale a garanzia di una costituenda società anonima per azioni, che avrebbe dovuto ammortizzare i loro debiti. Fu allora che le Banche creditrici respinsero la proposta di concordato, ritenendola poco pratica e sfornita di garanzia, dichiarando il fallimento della Ditta Battista con sentenza del 28 maggio 1914. L’attività fu poi ripresa dagli eredi di Antonio e Francesco che la continuarono sino al 1932, allorquando diedero in locazione i due stabilimenti alla Ditta De Gennaro-De Siena. La ricerca e l’insistenza nel tentativo di mettere in relazione le forme di organizzazione sociale con le forme di organizzazione produttiva è ciò che, a mio avviso, caratterizza la lucida e determinata ricostruzione della “Larino Industriale” e mi auguro che costituisca non solo un contributo archeologico ad una storia sociale delle tecnologie, ma anche un possibile strumento per valorizzare una risorsa preziosa, quale il grano, localizzata in un territorio eccezionalmente interessante sia dal punto di vista storico ed archeologico che naturalistico, in un quadro di progettualità congiunta fra Università e Amministrazioni locali.
Virginia Di Vito
Molto interessante la ricerca , ma vorrei dirvi che la foto non si riferisce a Gaetano, bensì al Dottor. Giuseppe Battista Medico Chirurgo.
Cordiali saluti
Grazie per gli apprezzamenti e per la segnalazione. Ho già provveduto ad inoltrarla all’autrice dell’articolo e della ricerca.
Cordiali saluti