Ho avuto modo di parlare in questo post come l’Unione Europea, con il regolamento n° 203/2012, ha decretato la nascita del “vino biologico” rispetto alla vecchia normativa che prevedeva, invece, la produzione di “vino ottenuto da uve biologiche”. Come già anticipato, si è trattato di un provvedimento non privo di strascichi polemici, in modo particolare per le dosi di anidride solforosa, ancora troppo alte secondo alcuni. La normativa dell’UE, in vigore dal 1 agosto 2012, prevederà una rinegoziazione entro il 1 Agosto del 2015, sintomo di un accordo raggiunto non senza contraddizioni. In tale data, infatti, dovranno essere terminate gradualmente o limitate pratiche enologiche come trattamenti termici, l’impiego di resine scambiatrici e l’osmosi inversa. Tralasciando il discorso solfiti, di cui ho già avuto modo di parlare, vorrei soffermare la mia attenzione sulle altre pratiche enologiche che vengono, di fatto, vietate nell’immediato. Parlo della concentrazione parziale a freddo o crioconcentrazione, dell’elettrodialisi per la gestione della stabilità tartarica, dell’eliminazione dell’anidride solforosa con procedimenti fisici, della dealcolazione parziale e del trattamento con scambiatori di cationi.
Detto così, per chi non è addentro al settore, potrebbero sembrare delle cose astruse o magari, per i più suggestionabili, delle vere e proprie alchimie chimiche e non che, in mano all’enologo di turno, possano contribuire alla “costruzione” di un determinato vino. In realtà, si tratta di vere e propri sistemi di processo contenuti nel “Codice internazionale delle pratiche enologiche” decretato dall’OIV, l’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino, che ne definisce le disposizioni e l’eventuale ammisibilità. Cerchiamo di capire meglio, sempre con l’ausilio del relativo manuale dell’OIV, giunto all’ultima revisione (2012), la funzionalità e l’applicazione di dette pratiche enologiche, alla luce della normativa in materia di “vino biologico” che ne vieta o in parte l’utilizzo. Non vuole essere una disamina tecnica, tengo a precisarlo, d’altra parte non è l’obiettivo del blog, ma un modo per poter comprendere in maniera più trasparente e chiara le varie tematiche riguardanti il settore.
La concentrazione dei mosti, che è illegale per i vini in ambito U.E., possiamo definirla come la parziale eliminazione di un solvente da una soluzione, nella fattispecie l’acqua. Uno dei sistemi per raggiungere questo obiettivo è la crioconcentrazione, ossia portare il mosto ad una temperatura prossima al suo punto di congelamento causando la formazione di cristalli di ghiaccio, quello che accade naturalmente negli Eiswein, che vengono di seguito eliminati. L’osmosi inversa o iperfiltrazione, invece, caratterizzata da costi di gestione più contenuti della precedente, è altresì un metodo di separazione dell’acqua ma con l’ausilio di una membrana semipermeabile, che lascia passare le molecole dell’acqua ma non a quelle dei soluti disciolti in essa. Si tratta, in entrambi i casi, di tecniche sottrattive che, togliendo acqua, concentrano automaticamente gli zuccheri e quindi consentono di ottenere vini più alcolici e, di conseguenza, più strutturati e concentrati. Prima la crioconcentrazione, già a partire dal 1 agosto di quest’anno, e poi l’osmosi inversa dal 2015, saranno espressamente vietate.
Esempio d’impianto per osmosi inversa |
La stabilizzazione tartarica dei vini è un altro problema con il quale si devono confrontare tutte le cantine, avendo un ruolo importantissimo nella presentazione dei vini al consumo. E’ causa della presenza in contemporanea nel mosto di potassio e acido tartarico che, combinandosi, portano alla formazione di cristalli insolubili che precipitano, tradizionalmente, durante l’inverno successivo alla vendemmia. Nel caso che la precipitazione non avvenga completamente in cantina, avverrà in un secondo tempo, in bottiglia che nei vini rossi possono passare inosservati ma che possono essere molto evidenti nei vini bianchi. Pur non trattandosi di un difetto, l’aspetto del sedimento fa a volte addirittura nascere nei consumatori dubbi sulla genuinità del vino. Con la stabilizzazione tartarica si cerca, in cantina, di evitare ogni successiva formazione cristallina in bottiglia attraverso diverse metodiche, tra cui l’elettrodialisi. Il procedimento, autorizzato dal 1997, permette di asportare selettivamente gli ioni responsabili delle precipitazioni tartariche, in modo indipendente dalla presenza di colloidi che limitano l’efficacia della stabilizzazione a freddo. Tale metodica non sarà consentita nei “vini biologici” e, di conseguenza, si potranno utilizzare i classici metodi fisici di trattamento a freddo o con l’aggiunta di stabilizzanti.
Altra tecnica su cui la commissione ha messo mano, ritenendola non compatibile con le tecniche “naturali” di produzione del vino, è la desolforazione, ossia togliere l’anidride solforosa precedentemente aggiunta a mosti in dosi massicce (> 100 gr/hl – mosti muti) per evitarne la fermentazione, in modo da riutilizzarli, in un secondo momento, per la produzione di vini frizzanti (es. Lambrusco) e vini da rifermentazioni (spumanti). Altro divieto è quello dell’acido sorbico, generalmente aggiunto al vino sotto forma di sale potassico solubile, in qualità di antifermentativo (inibisce l’azione dei lieviti), spesso utilizzato per i vini liquorosi e spumanti.
Da alcuni anni è sempre più frequente riscontrare vini con un grado alcolico elevato, complice un insieme di fattori tra cui i cambiamenti climatici e il miglioramento della tecnica viticola. Per evitare questioni legali circa il tenore di alcool massimo nel vino (15%, superabile per le DOP), di tipo organolettico per eventuali squilibri sensoriali e ultimo, ma non per importanza, la diminuzione del consumo di vino, figlia di una campagna ossessiva sugli effetti dell’alcool, le aziende possono ricorrere alla dealcolazione parziale del vino mediante tecniche fisiche di separazione. Anche questa metodica, nel caso del “vino biologico” non potrà essere utilizzata.
In definitiva, con questa normativa, si dà una svolta radicale sul biologico in vitivinicoltura. Verranno bandite, in questo modo, tutte quelle pratiche di cantina che, in mano a tecnici spregiudicati – non tutti per fortuna – e poco rispettosi della natura e del terroir, verranno utilizzate come scorciatoie per poter ottenere il vino desiderato o più gradito al gusto del consumatore. Biologicamente parlando, scelte agronomiche ben precise nella corretta gestione del vigneto (tecniche colturali e controllo delle avversità biotiche), facilitate da una contestualizzazione territoriale, imprescindibile per il sottoscritto, come ho già avuto modo di ribadire a più riprese, consentiranno di ottenere uve di qualità, spesso con più fatica rispetto ad una viticoltura convenzionale, ma sicuramente capaci di dare vini con un’impronta territoriale più marcata.
Sebastiano Di Maria
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