Avete avuto modo di seguire tramite Blog, Facebook e carta stampata gli appuntamenti che hanno tenuto banco, nella settimana dedicata alle problematiche del mondo agricolo, presso l’Istituto Tecnico Agrario di Larino. Si è parlato di temi cruciali quali l’IMU, attraverso una chiave di lettura tecnico/normativa che ha fugato dubbi e paure, per lo più figlie di cattiva informazione, di sperimentazione in campo cerealicolo, punto di forza dell’attività dell’Istituto e dell’intero comparto agricolo regionale, ma non è mancato, in conclusione, il punto di vista di un uomo che ha speso gran parte della propria vita nella gestione delle problematiche del mondo agricolo, dando lustro a produzioni e territori nella sua opera promozionale e storico/culturale. Naturalmente mi riferisco a Pasquale Di Lena, larinese doc, agronomo e politico, poeta e profondo conoscitore del mondo rurale, scrittore e produttore di olio. Quale modo migliore per concludere gli appuntamenti sul futuro del mondo agricolo, davanti ad una platea formata soprattutto da giovani studenti dell’unica istituzione scolastica ad indirizzo tecnico-agrario della regione, di cui lo stesso autore ne è uno dei figli più illustri, con i futuri tecnici e operatori del settore, se non attraverso le pagine di un “libro che parla ai giovani”? E’ questo lo slogan della CIA (Confederazione italiana agricoltori), organizzazione sindacale di cui l’autore ne è stato uno dei fondatori e che cura la pubblicazione del volume.
L’autore ripercorre, per tappe, la sua vita dedicata al mondo agricolo, ponendo l’accento su quella che è stata l’esperienza che più lo ha segnato, quella più stimolante, quella come dirigente del mondo agricolo vicino ai coltivatori e mezzadri della Toscana, sua terra adottiva, dentro le loro case, nelle loro aziende imparando a conoscerne i valori che tanto gli ricordavano la terra natia. Da lì parte la sua attività di creatore e ideatore di progetti vincenti, come l’Associazione nazionale delle città dell’olio fondata nella sua Larino, di cui è ideatore e Presidente onorario, giusto per citarne una, oltre che di incarichi prestigiosi, in particolar modo quella come Segretario Generale dell’Ente Mostra Vini – Enoteca italiana di Siena.
Dopo questa doverosa premessa, cercherò di analizzare, a grandi linee, il contenuto del volume, anche attraverso le parole dell’autore, cercandone spunti di riflessione.
“Serve l’agricoltura per uscire dalla crisi”, è questo il filo conduttore che accomuna la raccolta di articoli contenuti nel volume, pubblicati su stampa locale e nazionale, cercando di riscoprire la centralità della stessa all’interno di un contenitore straordinario che è il territorio. Paradossalmente, in un momento storico segnato da un costante e lento abbandono dell’attività agricola, a cui fa seguito una diminuzione significativa della superficie coltivata per esigenze che nulla hanno che fare con le produzioni agricole, c’è una parte dell’agroalimentare che dà lustro e rafforza il brand “Made in Italy” anche attraverso la riscoperta di territori straordinari, quel terroir, termine tanto caro ai transalpini, che è il contenitore e l’espressione della qualità. Mi riferisco, naturalmente, al vino e al ricco patrimonio in biodiversità viticola, unica al mondo, che si traduce in un numero di denominazioni d’origine straordinarie per qualità ed espressione territoriale, che portano il nostro paese, tenendo conto anche degli altri comparti, a primeggiare in Europa e nel mondo. In effetti, a voler essere precisi, dei punti deboli ci sono anche nel settore enologico e sono legati, per lo più, a cattive strategie di marketing, figlie di campanilismi e scelte produttive che poco tutelano territori e biodiversità. In tal senso andrebbe fatto di più e meglio, come lo stesso autore ne è testimone nella sua pluriennale esperienza in materia promozionale, cercando di porre al centro il territorio, straordinario contenitore di cultura, storia e tradizioni. Anche il Molise non si sottrae da tale logica, anche se la riscoperta di una propria identità enologica, attraverso la Tintilia, frutto anche della scommessa di un manipolo di giovani produttori, quei giovani che l’autore esorta a “utilizzare l’agricoltura per programmare il proprio futuro”, ha gettato le basi per fare uscire la regione e il suo straordinario territorio, che Di Lena individua come “caso studio di ruralità in ambito nazionale”, da una sostanziale situazione di anonimato. Non tanto perché lo dice il sottoscritto, anche se la mia recente esperienza in proposito fatta di viaggi studio nei più importanti territori enologici italiani e francesi ne conferma la situazione, ma perchè sono gli stessi produttori a confermarlo, come ho potuto constatare di persona all’ultimo Vinitaly. Abbiamo un territorio ed una vocazionalità, se vogliamo, potenzialmente superiori a molte aree più blasonate, anche se scelte scellerate ne hanno in parte violentato l’aspetto e fiaccato l’anima. Purtroppo i numeri ci sono contro, sia in termini di bottiglie prodotte che di territorio vitato, in forte contrazione per via di estirpazioni massicce, figlie di una realtà cooperativistica per lo più fallimentare o ai margini del settore. E’ necessaria, quindi, un’opera di promozione che accomuni tutte le realtà produttive regionali in un unico marchio e perché ciò sia possibile ci vuole coesione e comunità d’intenti, anche da parte di chi ritiene la cosa come un freno o una zavorra, avendo già un proprio brand affermato che nulla a che fare con il territorio. Mi riferisco ad una situazione inaccettabile riscontrata al Vinitaly, di cui ho già avuto modo di parlare nel mio blog in questo articolo, dove alcune aziende hanno preferito sistemazioni diverse da quella messa a disposizione dalla Camera di Commercio della Regione Molise (già microscopica se confrontata ad altre realtà). Altra nota dolente che l’autore rimarca e che il sottoscritto condivide, è l’utilizzo della Tintilia come mero strumento commerciale, decretando, di fatti, la nascita di obbrobri che nulla hanno a che fare con la storia del vitigno, come il rosato, lo spumante o il passito, oltre alla possibilità di estenderne il disciplinare ad areali che, storicamente, nulla hanno a che fare con la coltivazione del vitigno. Non a caso, ad un seminario sul progetto “Talento” a cui ho preso parte, il responsabile marketing con un sottile sogghigno ironico mi ha chiesto se eravamo riusciti in Molise a fare uno spumante a base di Tintilia ed io, non senza imbarazzo, ho dovuto annuire senza batter ciglio. Neanche questa è la strada giusta per valorizzare un territorio e le sue peculiarità, cercando di inseguire mode o estremizzando la tecnica enologica con winemaker (enologi) di grido, ottenendo solo il risultato di dare un’immagine distorta della realtà. I riconoscimenti e le professionalità ci sono, un territorio invidiabile e un patrimonio storico-culturale di primissimo livello anche, manca solo un amalgama sapiente dei singoli ingredienti per poter emergere, sotto un unico marchio o brand.
Pasquale Di Lena |
Cosa che invece è in fase di lancio, di cui lo stesso autore ne è l’ideatore, è un progetto di promozione, questa volta in campo oleario, con la creazione del marchio Molisextra che raccoglie singoli produttori e realtà cooperativistiche, con l’unico obiettivo di promuovere l’olivicoltura e l’olio molisano, che passa attraverso la tutela del territorio e del paesaggio olivicolo, dei borghi e dei dialetti che accompagno un rituale antico in una terra che ha fatto la storia dell’olivicoltura. In questo caso la Regione Molise è un vero e proprio scrigno di ricchezze con ben 18 varietà autoctone, tra cui spicca l’Aurina di Venafro, quella che gli antichi romani conoscevano come “Licinia” in omaggio al grande condottiero Licinio che la introdusse, nel IV secolo a.C., in quel territorio straordinario che è il “Parco storico dell’olivo di Venafro”. E poi l’altra cultivar storica, la Gentile di Larino, vero simbolo dell’eccellenza regionale e della relativa DOP.
L’olio, il vino e altre eccellenze alimentari sono un vero e proprio patrimonio del nostro paese, l’essenza della nostra cucina e l’espressione più alta della dieta mediterranea (patrimonio culturale dell’umanità, UNESCO), non a caso il Ministro Ornaghi considera le nostre eccellenze alla stregua dei beni culturali, come lo steso autore più volte sottolinea. La nostra regione rappresenta, quindi, un piccolo scrigno in ricchezza di prodotti e ruralità (olio, vino, tartufo, salumi, formaggi e latticini), quello che potrebbe essere un esempio per tutti attraverso la riscoperta dell’agricoltura (regione con il miglior rapporto abitante/territorio rurale) e la sua centralità, attraverso la creazione di infrastrutture ricettive, opera di promozione e marketing gestita da consorzi di tutela, che non siano semplici entità astratte di facciata, creazione di percorsi turistici ed enogastronomici tra borghi e territori, tra tratturi e cantine, non tramite quelle fredde tabelle sparse per le vie della regione.
Concludo riassumendo quello che è stato il messaggio della giornata, che l’autore e gli altri interlocutori hanno voluto trasmettere ad una platea composta soprattutto da studenti dell’Istituto Agrario, futuri interpreti del mondo agricolo. I giovani hanno in mano il futuro e devono saper cogliere l’opportunita di rimettere al centro l’agricoltura, sia come programmazione del proprio futuro, sia per dare lustro a produzioni preservando ruralità, territori e cultura, ma anche perché il mondo ha bisogno di attività agricola come principale fonte di alimentazione. Una corretta gestione del comparto, attraverso un minor uso di energie e risorse (impatto ambientale), eliminando gli sprechi, figli di un’economia di profitto, potrà far fronte alla fame nel mondo, tema centrale che la Fao ha sviluppato in questi giorni a RIO+20 con il tema: “Verso il futuro che vogliamo: fermare la fame e attivare la transizione verso sistemi agricoli e di cibo sostenibile”.
Sebastiano Di Maria
Ottimo articolo Sebastiano, soprattutto quando parli dei problemi del settore enologico regionale.
Finalmente i problemi dell'agricoltura e dei vari settori che la caratterizzano cominciano ad essere trattati, sempre più frequentemente, con competenza ed amore! Il coro si allarga e le voci diventano sempre più sicure e questo non fa altro che bene, non solo agli imprenditori agricoli, ma al territorio tutto. Come si evince anche dal bel contributo del dott. Di Maria, ampio, documentato, articolato nelle sue convincenti tesi, per la risoluzione dei problemi del settore enologico molisano si deve fare ancora molta strada, senza improvvisazioni, senza fretta e, soprattutto, senza speculazioni, ascoltando umilmente i consigli assennati di chi ha dedicato una vita alla salvaguardia dei nostri valori e dei nostri "tesori". Parlare agli studenti, futuri tecnici, è importantissimo perchè così si educano le coscienze e si piantano i semi di quel giusto approccio con cui bisogna affrontare l'attività agricola e la salvaguardia del territorio.
Belle parole, ma la nostra classe politica dov'è, anzi, che fa? Ah ecco, promuove presso gli imprenditori agricoli la creazione di impianti a biomassa, con un bel finanziamento in conto capitale del 30%. Ed intanto le nostre aziende si indebitano e i nostri prodotti continuano ad essere sconosciuti.
Ringrazio entrambi per i vostri contributi. Quello di comunicare agli studenti dell'istituzione scolastica che rappresento, ossia il futuro della nostra agricoltura, attraverso qualsiasi forma di sensibilizzazione, è obiettivo che tutti gli addetti ai lavori dovrebbero perseguire. Purtroppo molti sono insensibili ed io, nel mio piccolo, cerco di fare il possibile. Già quest'anno ho avuto modo, attraverso il progetto "scuola aperta", attraverso il mio blog e attraverso quello dell'associazione ex-allievi,oltre che attraverso la rivista il ponte online, di sensibilizzare studenti e opinione pubblica su temi di attualità, aimè, poco considerati o completamente sconosciuti. Gli attestati di stima e di fiducia ricevuti mi spingono ad andare avanti e magari migliorarmi.