Il modulo sull’elaiotecnica e sulla qualità dell’olio, del progetto “Un Molise Extra-Ordinario”, non poteva avere un battesimo migliore; la prima lezione, infatti, è stata tenuta da Antonella De Leonardis, ricercatrice della Facoltà di Agraria dell’Università del Molise, nonché Professore incaricato di tecnologia delle sostanze grasse presso lo stesso ateneo. Particolarmente apprezzata, dai sempre numerosi “studenti” presenti, la sua capacità di coniugare il rigore scientifico con quelli che sono gli aspetti tecnologici della filiera, con le relative implicazioni di processo e gli effetti sulla qualità dell’olio, ricordando che lo stesso altro non è che una “spremuta di frutta”, portando degli esempi concreti, toccati con mano, immediatamente dopo, nella visita didattica al frantoio di Bruno Mottillo a Larino. Uno degli aspetti su cui si è soffermata la relatrice, e su cui ha insistito a più riprese, è il ruolo dell’acqua nel processo di estrazione dell’olio d’oliva, e di come la stessa influisca sulle qualità del prodotto finale. In effetti, le drupe contengono ben il 50-60% di acqua, mentre i semi di girasole, che danno uno degli oli di semi più diffusi, ne hanno appena il 5-10%; questa differenza si traduce in una diversa conservabilità dei relativi oli (alta per gli oli di semi, bassa per quello d’oliva).
Antonella De Leonardis durante la lezione |
Bruno Mottillo durante la visita presso il suo frantoio |
Uno degli effetti positivi dell’abbondante presenza di acqua nelle drupe, è consentire la separazione fisica dell’olio-mosto dalla pasta per il suo effetto dilavante o di trascinamento, oltre ad arricchire l’olio di sostanze idrosolubili come i polifenoli (abbondanti nella polpa), gli antiossidanti che preservano le caratteristiche qualitative del prodotto e che tanto fanno bene alla salute. Il concetto che c’è alla base del processo di estrazione dell’olio è il passaggio da olio/acqua della drupa (goccioline di olio disperse in acqua) ad acqua/olio (goccioline di acqua disperse nell’olio), favorito dall’agitazione e dall’attività di emulsionanti naturali, le lecitine, fosfolipidi molto abbondanti nelle olive. Purtroppo, però, per aumentare la separazione, e quindi formare goccioline di olio sempre più grandi (coalescenza), bisogna rompere le emulsioni attraverso la gramolazione – processo di mescolamento della pasta in vasche inox con intercapedine ad acqua tiepida, 25-30 °C – che, inevitabilmente, comportano, attraverso lo scambio di ossigeno con l’esterno, reazioni enzimatiche che determinano la diminuzione della qualità dell’olio, come un aumento dell’acidità o la possibilità di fermentazioni indesiderate. Un miglioramento in tal senso sono state le vasche chiuse, che limitano il contatto con l’ossigeno, e ancor di più quelle con l’utilizzo dell’azoto, un gas inerte che protegge il prodotto, solo ad appannaggio di grandi impianti, purtroppo, visto il costo sostenuto. A ogni buon modo, sono da evitare, come sostenuto dalla docente, per quanto possibile, i contatti con l’aria, tenendo conto anche degli effetti della temperatura, su cui si potrebbe scrivere un capitolo a parte, che va a incidere negativamente sulla qualità dell’olio, in particolare sull’abbattimento della concentrazione delle sostanze fenoliche e sul contenuto di aromi.
Inversione di fase necessaria per separare l’olio (dalla presentazione della lezione) |
La fase successiva è stata quella di analizzare e vivisezionare le singole fasi del processo di lavorazione delle olive, in modo da individuarne gli effetti sulla qualità dell’olio. La qualità del prodotto iniziale è, senza dubbio, uno degli elementi essenziali per ottenere un ottimo prodotto. Il momento ottimale per la raccolta è quando c’è un’invaiatura del 40-50% del prodotto, dove si ha il picco massimo d’inoliazione nella drupa, andare oltre non ha senso, mentre decisivo è anche lo stato sanitario delle olive, che vanno molite in breve tempo, previa conservazione in recipienti areati e al riparo dal sole. Le olive danneggiate o mal stoccate, infatti, portano a un aumento dei perossidi, dell’acidità e degli etil esteri (fermentazioni anomale), mentre se stramature comportano la perdita di fenoli e quindi, di conseguenza, un olio più “dolce”, senza aromi e meno serbevole. Sulla qualità dell’olio influiscono anche le operazioni preliminari, come defogliazione e lavaggio, sempre consigliate. Sicuramente più complesso è il discorso sulla prima fase della lavorazione, ossia la frangitura, dove si hanno la rottura delle drupe e la preparazione della pasta. L’effetto di tale operazione, sia con i frangitori del sistema continuo o con le molazze del sistema discontinuo, ha come obiettivo la rottura della polpa e, quindi delle cellule, dove si trova la maggior parte dell’olio, 75-85%, localizzato all’interno dei vacuoli, mentre solo il 15-20% si trova nella polpa. Ciò è possibile solo rompendo la parete cellulare, azione svolta dai piccoli frammenti del nocciolo che lacerando i tessuti, provocano la fuoriuscita dell’olio e rendono la pasta più omogenea, oltre all’attività di enzimi pectolitici, abbondanti nel seme, che rompono la parete cellulare. Naturalmente, questi enzimi, possono anche portare a effetti indesiderati, come processi ossidati e idrolitici. La fase successiva di gramolatura, come già accennato in precedenza, ha l’obiettivo di rompere l’emulsione per via enzimatica e meccanica. I punti critici sono l’azione enzimatica, che comporta un aumento dell’acidità, e il contatto con l’aria che aumenta i perossidi, oltre all’effetto della temperatura e del tempo di estrazione. Insomma, un “male necessario” che va accuratamente valutato e rapportato al tipo di cultivar.
Vasche per la gramolatura (foto Sebastiano Di Maria) |
La separazione dell’olio mosto dalla pasta avviene con le presse nel sistema tradizionale, con i decanter nel sistema continuo, di cui esistono modelli a tre fasi (tricanter), a due fasi e intermedi. La differenza sta nell’utilizzo o meno di acqua aggiunta nel processo di estrazione, con la produzione (tre fasi) o meno (due fasi) dell’acqua di vegetazione, il refluo che va opportunamente smaltito, e su cui si sta lavorando per limitarne l’impatto ambientale perché ricco di fenoli. Come già detto in precedenza, l’acqua porta anche a un “dilavamento” delle sostanze idrosolubili, in particolare antiossidanti, che vanno irrimediabilmente perse. Quella dell’estrazione è un’altra fase delicata, se vogliamo, soprattutto se molti ancora oggi, forse più per una questione affettiva ed emozionale, fanno uso del sistema tradizionale con le presse, che, come dimostrato dai fatti, hanno diversi punti critici (fiscoli, tempi lungi, contatto con l’aria, maggiori costi di personale) che si traduce in difetti sull’olio, facilmente individuabili all’esame gusto-olfattivo, come di fiscolo, avvinato, fermentato, rancido e di acque di vegetazione. Lo stesso Bruno Mottillo, da cui i corsisti hanno potuto apprendere le differenze delle due tipologie d’impianto di cui è dotato il suo frantoio, non senza una punta d’ironia, ha espresso molte perplessità sulla qualità degli oli ottenuti dal sistema tradizionale, anche se ancora molto richiesto dalla clientela.
Differenze tra le due tipologie di estrazione continua (dalla presentazione della lezione) |
Differenze tra sistemi di estrazione (dalla presentazione della lezione) |
Dalla lezione, e dalla successiva visita aziendale, si è capito che, per ottenere un olio extravergine di qualità, amaro e piccante, come recita lo slogan coniato in una campagna di sensibilizzazione dell’Arsiam, bisogna preservare al massimo le caratteristiche qualitative delle olive, essendo l’olio, un prodotto di estrazione, evitando il contatto con l’ossigeno e operando in maniera opportuna nelle delicate fasi di gramolatura ed estrazione. La qualità deve essere l’unico l’obiettivo da perseguire; tanto si è fatto, ma ancora tanto c’è da fare, e attività divulgative, convegni, seminari e corsi sono importanti per avvicinare il consumatore, ma anche i produttori, ai canoni di qualità che possono far fare il salto definitivo al comparto e alla nostra piccola regione.
Scuola del gusto
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