importanti del nostro sistema vitivinicolo, strettamente correlati tra
loro, attraverso un’analisi statistica dell’anno in corso operata, tra gli
altri, da Nomisma e Agea, che traccia un quadro al chiaro-scuro sull’andamento
del settore trainante dell’agroalimentare italiano. A un export in piena
salute, con sensibili miglioramenti in diversi paesi extra-UE, fa da
contraltare una contrazione delle superfici vitate in molte regioni, figlia,
leggendo i risultati dell’analisi, di una pericolosa contrazione del consumo di
vino. In pratica, secondo l’analisi di Wine Monitor-Nomisma, beviamo la stessa
quantità che esportiamo (consumi a 22,6 milioni di ettolitri, export a 23,3
milioni), mentre solo poco più di vent’anni fa eravamo i secondi consumatori
mondiali, dopo la Francia, oggi siamo stati scalzati dagli Stati Uniti
che, per fortuna, bevono soprattutto vini italiani, con la Cina che si avvicina
a grandi falcate. I dati, infatti, dimostrano un calo di
vendita di vino, in volume, soprattutto nel canale Gdo (grande distribuzione
organizzata), pari al 3,6% rispetto al 2011, dato confermato anche
per il primo trimestre 2013. Secondo gli analisti la colpa non è solo
della crisi, ma anche di un calo legato alla popolazione che consuma vino,
oggi attestata a circa il 52%, sei punti percentuali in meno rispetto a
venti anni fa, pari a circa 1,2 milioni di persone. Questa riduzione
è imputabile, in particolar modo, alle nuove generazioni che consumano sempre
meno vino.
Fonte: Corriere Vinicolo |
Una contrazione dei consumi interni,
naturalmente, ha decretato anche una contrazione delle superfici vitate, come
evidenziato dagli ultimi dati rilevati da Agea. In particolar modo,
nonostante il regime di estirpazione con premio sia ormai concluso, l’erosione
nei vigneti italiani prosegue in maniera inarrestabile, con qualche eccezione,
naturalmente. A livello di regioni, infatti, le perdite di superficie maggiori
sono riscontrate in Sicilia (-4.000 ettari), Piemonte (-2.500), Emilia Romagna
(-2.000) e Sardegna (-1.700), che poi rappresentano una fetta importante delle
grandi denominazioni d’origine che la fanno da padrone sugli scaffali della
grande distribuzione e, come tali, ha risentito maggiormente della contrazione
dei consumi. Da questo dato si sottrae il Veneto (+1.400 ettari) imputabili
all’effetto Prosecco, mentre un aumento delle superfici si è registrato in
diverse regioni che rappresentano la nuova frontiera del vino. In particolare
voglio citarne due vicine alla nostra realtà, la Puglia, regione che tra
2000 e 2011 aveva perso oltre 24.000 ettari di superficie, che invece si
sta proponendo in maniera importante nel panorama enologico internazionale
entrando, a pieno merito, nella top ten delle mete più famose
al mondo per gli enoturisti, secondo la prestigiosa rivista americana Wine Entusiast, e la
Campania, culla della viticultura con il vinum falernum e di alcune
delle più importanti denominazioni del nostro paese. Realtà come la Puglia e,
come del resto, molte realtà dell’Italia meridionale, tra cui anche il Molise,
il cui vino, fino a qualche anno fa, andava a tagliare e ad arricchire quelli
di altre regioni italiane, ora, in misura sempre crescente e diversa per le
singole realtà, rappresenta il valore aggiunto del territorio. In Molise la
superficie vitata è rimasta invariata, figlia di un assestamento dopo
una contrazione drastica in un passato recente, pari quasi ad un dimezzamento
rispetto agli inizi degli anni ottanta, per diversi motivi di cui ho già
parlato tempo fa in questo post e in quest’altro. All’aumento della qualità media delle
produzioni regionali, anche grazie alla nascita di nuove realtà produttive
virtuose che si sono affiancate a realtà consolidate, non corrisponde
una giusta opera promozionale che valorizzi l’intero produzione territoriale,
cosa su cui lavorano in maniera ossessiva le altre realtà a noi vicine, di
cui dovrebbero farsi carico le realtà istituzionali, non ultimo l’inutilizzo
perpetuo dei fondi dell’OCM (organizzazione comune del mercato) per la promozione del vino nei paesi extra-UE, di
cui ho parlato in maniera approfondita in questo post.
Fonte: Indagine Nomisma |
Pur in una situazione non facile come quella
appena descritta, l’export del vino italiano registra segni positivi, di cui
alcuni in fortissima crescita, in tutti i mercati extra europei, sia per un
corretto utilizzo dei fondi comunitari OCM, erogati da Bruxelles per i progetti
di export, di cui non c’è traccia per il Molise, sia per un
crescente apprezzamento di tutto quello che è italiano sulle tavole di
tutto il mondo, dall’olio extravergine alla pasta, dal vino alla
cultura, prerogative di cui la nostra Regione non pecca, tutt’altro. La ricerca
di nuovi mercati è indispensabile per la sopravvivenza delle aziende,
soprattutto perché si beve sempre meno vino, anche per un fatto culturale, e
mi riferisco in particolar modo ai giovani, e in tal senso è andato il
progetto “Un Molise divino” nell’ambito della “Scuola del
gusto”. Spulciando i dati di Nomisma, si nota una crescita importante in
Svizzera, Stati Uniti, mercati orientali, Cina in primis, Russia e Canada.
Non a caso Svizzera e Canada sono stati i mercati segnalati da
Pasquale Di Lena in quest’articolo sul suo blog, come possibile target di
promozione extra-UE, e che il sottoscritto ha sviluppato individuandone i punti
di forza in quest’altro post. La chiave di lettura che ne danno
gli analisti di Nomisma è: “Il bilancio dell’export di vino italiano
nel primo quadrimestre 2013 è largamente positivo, almeno per quanto riguarda i
Paesi Terzi, quelli cioè oggetto di promozione finanziata dall’OCM vino. Segno
che questi investimenti continuano a dare buoni frutti sul fronte delle vendite
per le nostre imprese. I dati sulle importazioni di vino italiano nei
principali mercati extra-Ue (USA, Canada, Cina, Giappone, Svizzera e Russia)
segnalano, infatti, una crescita dei valori che nel I quadrimestre 2013
(rispetto allo stesso quadrimestre dell’anno precedente) sono andati da un
minimo del +5,4% per il Giappone a un massimo del +71,5% in Russia“.
Giusto per farci del male, riporto dei contributi pubblicati sul quotidiano Tre
Bicchieri del Gambero Rosso riguardo al mercato canadese. Pur essendo un Paese
dove gli alcolici sono disciplinati dai monopoli di Stato, il Canada
rappresenta un vero e proprio “el dorado” per il mercato
enologico del “bel paese“, come ribadisce Barbara Philip,
del British Columbia Liquor Distribution Branch: “Qui il vino italiano sta
vivendo un momento felice, il consumo è focalizzato sui vini di fascia alta,
soprattutto sopra i 20 dollari; reggono i grandi classici, soprattutto Barolo e
Brunello, ma stanno uscendo bene i vini del Sud. Un consumo strettamente legato
allo sviluppo di una ristorazione di primo livello: si cercano vini da varietà
diverse e food friendly”. Luc Gauthier, del più grande store Lcbo di
Toronto dice: “Negli ultimi anni la nostra selezione di vini italiani si è
arricchita soprattutto di vini italiani autoctoni, dal Vermentino al
Verdicchio, al Primitivo: negli ultimi giorni gli scaffali del vino Italiano si
sono svuotati a una velocità elevata”.
Vigneto di Tintilia ad Acquaviva Collecroce |
Come uscire da questa situazione d’impasse e di
calo dei consumi? Tali obiettivi possono essere raggiunti solo con
lungimiranza e con l’ausilio di quelle poche risorse messe a diposizione da
Bruxelles, attraverso scelte oculate e mirate, che mettano i produttori, e la
food economy regionale, al centro del progetto, puntando, a mio avviso, tutto sui giovani, che
si avvicinano con curiosità e interesse al mondo del vino, sia nella
nostra Regione, come certificato dai progetti “Un Molise divino” o
“Sorsi di cultura“, con le relative testimonianze di cui è pieno il
blog e su cui, forse, vi ho tediato oltremodo, ma anche su quelli oltre i
confini nazionali. Si tratta di approcci diversi: nel primo caso va rafforzato
un legame con il territorio attraverso una crescita di consapevolezza, di
un senso d’appartenenza, partendo dalla scuola, educando al gusto e al consumo
consapevole, nel secondo caso, invece, educando il gusto e il consumo di vino e
delle altre produzioni alle culture e tradizioni locali. L’approccio oculato ed organico ai fondi di promozione comunitari, da aggiungere ad un cospicuo impegno anche delle Istituzioni e dei relativi Consorzi di produttori, devono guidare la Regione fuori da questo “cono d’ombra” attraverso il territorio, le sue produzioni agroalimentari e la sua cultura, per dare un prospetto ai giovani e alle future generazioni. Tutti gli altri investimenti che si paventano, dalle stalle alle stelle, perdonatemi, senza voler fare polemica o appunti tecnici, sono il vecchio.
Questo articolo è davvero molto interessante.
Grazie per l'apprezzamento.