Quando si sente dire che “in Molise non c’è niente”, cosa che capita di frequente, purtroppo, o che “il Molise non esiste”, anche se qui il concetto parrebbe leggermente più profondo, dicono i relativi sostenitori – concetto da cui dissentiamo, “ma questa è un’altra storia” – sarebbe lecito chiedersi: che senso ha proporre degli itinerari tra arte, archeologia, paesaggio e cultura in generale, passando attraverso le produzioni agroalimentari di qualità che ne fanno da collante, prima che esaltazione di gusto e bontà? Eppure, quando tre anni fa partimmo con quest’avventura, con un partner importante, l’ATM, con qui ne abbiamo condiviso i contenuti, l’obiettivo era proprio quello di muoversi attraverso il territorio regionale, come filo conduttore la “Scuola del Gusto” e la cultura in senso generale, alla scoperta di “fantomatiche” qualità, che necessariamente dovevano esserci, ne eravamo convinti (all’inizio lo slogan era: “il gusto della scoperta”). Essere giunti alla terza edizione degli “Itinerari del Gusto”, avendo quasi l’imbarazzo della scelta della qualità dell’offerta, non può che inorgoglirci su quello che il Molise può offrire, tra gusto e bellezza.
Il percorso del I° Itinerario del Gusto |
Anche quest’anno, la proposta è stata articolata in due date, rispettivamente sabato 27 giugno – quella che vi racconteremo nelle prossime righe – e sabato 4 luglio, attraverso un viaggio tra le bellezze archeologiche, artistiche, ambientali e paesaggistiche del Molise, inframezzate da “immersioni” nella cultura agroalimentare, settore lattiero-caseario nella fattispecie, come filo conduttore dell’ultimo percorso formativo, ripercorrendo quelle che erano le strade battute dagli armenti, i tratturi, e dalla cultura transumante. La prima sosta di sabato 27 giugno, ha visto proprio un caseificio al centro dell’attenzione, a Vinchiaturo, l’azienda Barone della famiglia Perrella, che tramanda di generazione in generazione, la tradizione casearia di un territorio che storicamente, per numeri e cultura casearia, non ha eguali. Luigi Perrella, amministratore delegato, nella visita aziendale, ha anche spiegato quelle che sono le origini della “mozzarella”, oggi Fior di Latte (da latte vaccino), ma delle paste filate in generale, che vede il Molise centro nevralgico. “Vi siete mai chiesti dove sia nata la mozzarella? Comunemente si considera la Campania come la regione che avrebbe dato i natali al più noto tra i formaggi, grazie anche all’ampia produzione di mozzarella di bufala in regione. Le cose non stanno esattamente così! Il più antico documento, risalente al secolo XII, testimonia che i monaci Benedettini di San Lorenzo in Capua usavano offrire, in occasione di alcune festività religiose, un pezzo di questo formaggio (definito mozza o provatura) “per antica tradizione”. Questi monaci Benedettini erano quelli sopravvissuti da San Vincenzo al Volturno, in Molise, riuscendo fortunatamente a trovare riparo presso la fortezza longobarda di Capua. Qui fondarono, poco dopo, proprio il monastero di San Lorenzo. L’arte della preparazione della mozzarella sembra, quindi, essere stata esportata dai monaci Benedettini della famosa Abbazia di Castel San Vincenzo, in Molise. Guarda caso, in questa regione è tutt’oggi molto diffusa la preparazione della mozzarella a base di latte vaccino”.
Luigi Perrella, Amministratore del Caseificio Barone |
La seconda sosta, ha riguardato l’oasi WWF di Guardiaregia-Campochiaro, area che si estende per oltre 3135 ettari, essendo una delle più estese in Italia gestite dal WWF. L’area è caratterizzata dalla presenza di tre particolari ambienti naturali: le gole del Torrente Quirino con la cascata di San Nicola, il Monte Mutria e l’area carsica della montagna di Campochiaro. Nel territorio di Guardiaregia, invece, ci sono gli spettacolari fenomeni ipogei delle grotte di Pozzo della Neve (-1048 m) e di Cul di Bove (-913 m) che, per profondità ed estensione, sono fra i più imponenti abissi d’Italia. Meta della visita, vista anche la presenza di bambini nel gruppo, i primi a essere più partecipi e divertiti, è stata l’area faunistica della riserva in località Fonte Litania di Campochiaro, con il duplice obiettivo didattico e conservazionistico per la futura reintroduzione del cervo sul Matese. In effetti, nei nove ettari della riserva, si trovano quattro cervi, nati e cresciuti in cattività due maschi (Bonifacio e Tommaso), due femmine (Quirina e Cesidia), e da poco anche un cucciolo, che hanno accolto il gruppo, seguendo l’escursione svolta in una parte della riserva, con attenzione e curiosità. Ammirazione e stupore per i bambini, interesse e attenzione per gli adulti per la variabilità della flora e della fauna del comprensorio sapientemente illustrata dalla guida del WWF.
Il cervo “Bonifacio” durante la visita alla riserva |
Dopo la meritata sosta pranzo, presso l’agriturismo Casale Rosa di Vinchiaturo, dove è stato possibile degustare piatti e produzioni locali, è stata la volta di un’altra importante azienda lattiero-casearia molisana, presente nel Comune di Bojano, città costruita sui resti di quella che fu denominata Bovianum, la capitale dei Sanniti Pentri, prima, e Municipium romano di grande importanza, dopo, nonché tappa della transumanza, giacché nacque proprio dove in secoli più recenti passava il Tratturo Pescasseroli-Candela. La leggenda, infatti, narra che giovani sabini, durante il Ver Sacrum (primavera sacra) d’epoche lontanissime mandati a fondare nuove città, si spinsero alla volta della nostra regione guidati da un bove. Giunto nei pressi del Matese, l’animale s’inginocchiò per bere alle sorgenti del Biferno. Quella genuflessione fu interpretata come un segno divino e i giovani decisero di stabilirsi lì, creando la prima colonia sannita, da cui il nome Bovianum (da bove, appunto). Proprio vicino alle sorgenti del fiume Biferno (da cui prende il nome, gli scorre proprio lungo il fianco), il caseificio artigianale, di proprietà della famiglia di Pulsone Franco, da una storia e tradizione di circa 60 anni, lavora latte rigorosamente molisano (circa 20 quintali al giorno), proveniente da stalle e pascoli montani dei comuni di Macchiagodena e Cantalupo, quasi tutto a mano, come da tradizione, per un prodotto di una bontà straordinaria che non si trova nella grande distribuzione, ma solo in punti vendita specializzati. Vista la vicinanza alle sorgenti del Biferno, dopo essersi dissetati presso la stessa (Località Santa Maria dei Rivoli), un piccolo fuori programma che ha entusiasmato i bambini presenti, la visita all’allevamento di trote e anguille.
Due membri della famiglia Pulsone |
Sempre lungo il percorso dei vecchi tratturi, non poteva mancare la visita all’area archeologica di Altilia di Sepino (vecchia Saepinum), sotto la guida attenta e minuziosa di Alessandra Capocefalo dell’associazione Me.Mo. Cantieri Culturali, ripercorrendo in maniera dettagliata tutte le fasi della sua storia, legata anche ai traffici costanti della transumanza. Infatti, è testimone fondamentale l’iscrizione, datata fra il 169 e il 172 d. C, che si vede tuttora incisa sulla spalla destra della porta detta di Bojano (la città era divisa da due assi viari principali, quasi ortogonali, denominati cardo e decumano). Da essa si apprende che i conductores delle greggi si lamentano delle angherie loro inflitte dai magistrati e dagli stationarii di Bojano e di Sepino mentre percorrono gli itinera callium che uniscono le due località. Diventa necessario allora l’intervento dei prefetti del pretorio, i quali ingiungono ai responsabili di lasciare in pace i pastori e minacciano pene. Questo documento epigrafico, è particolarmente importante perché prova che già nel II secolo d. C. esisteva una via armentizia che passava per gli stessi luoghi per i quali molti secoli dopo passerà uno dei principali tratturi, il Pescasseroli-Candela. Partendo da porta Tammaro, passando per il Teatro, fino a porta Bojano, per poi, attraverso il decumano giungere fino a porta Benevento, attraverso il Foro, la fontana del grifo fino al mausoleo di Caius Ennius Marsus, opposto a quello di Publius Numisius Ligus presente al di fuori di porta Bojano. Un percorso nella storia delle genti sannite prima, romane poi.
Alessandra Capocefalo |
Vista di una parte degli scavi archeologici di Altilia |
Una giornata intensa, tra gusto e bellezza, di un piccolo angolo di Molise, in attesa di un’altra impegnativa ma altrettanto straordinaria, che racconta una storia, quella dei Sanniti prima, quella dei Romani poi, attraverso testimonianze storiche-archeologiche e non, che fecero dell’area matesina centro nevralgico del traffici armentizi, con la cultura della pasta filata sviluppatasi nei secoli, ma anche via di snodo di culture e civiltà dei diversi popoli.
Scuola del Gusto
scuoladelgustolarino@gmail.com
Leave A Comment