La vite è ricordata come una pianta che nell’800 ha rischiato di scomparire dall’Europa a causa di alcune malattie americane. L’uso del portainnesto americano e la lotta chimica all’oidio ed alla peronospora, hanno scongiurato questo rischio, ma non è stato facile convincere i viticoltori. Alla base di queste incomprensioni vi erano, quasi esclusivamente, delle ragioni culturali. Anche oggi uno sparuto gruppo di contestatori rifiuta i progressi della scienza, per ritornare a forme di viticoltura pre-ottocentesca, ispirata ai principi della metafisica e dell’esoterismo. Sono nate, così, figure professionali dalle dubbie conoscenze scientifiche, ma abili nel tessere importanti rapporti con la stampa e il mondo degli opinion leader. Fare tutto “magicamente”, sostituendo anni di studio con qualche ora di navigazione in rete, l’esaltazione di un aurea mediocritas.
 
 
 
A questi si sono aggiunti altri “esperti”, i climatologi. Ma forse varrebbe la pena valutare con più serietà la storia climatica del nostro pianeta. Ci si accorgerebbe che da un optimum climatico che aveva portato la vite fino in Scozia e l’ulivo in Valtellina, si è passati in pochi secoli alla cosiddetta “piccola glaciazione” con conseguenze drammatiche sull’agricoltura europea. Analizzando il rapporto clima-CO2, invece, bisogna ricordare che Keeling nel 1957 aveva formulato un modello che prevedeva l’arricchimento progressivo dell’atmosfera di CO2. Incremento che, però, non è mai stato seguito dall’aumento della temperatura. Oggi i modelli di stima prevedono che con il raddoppio della CO2 nel 2050 (560 ppm) si avrà un aumento della temperatura di 0,84 °C. Ma i dati di vendemmia ne confermano l’imprevedibilità. Motivo? Perché l’effetto serra è soprattutto dovuto al vapore acqueo, la cui variabilità non è valutabile con le previsioni. Per quanto riguarda “l’abbaglio” dell’impronta carbonica, è bene ricordare che il vigneto utilizza ampiamente la CO2 prodotta e che quindi essa, lungi dall’essere un veleno, è un mattone fondamentale per la vita del pianeta. Purtroppo come diceva Popper, “Ad una conoscenza finita deve corrispondere una ignoranza infinita”.
 
Fonte: Tre Bicchieri Gambero Rosso (articolo a firma del Prof. Attilio Scienza)