Più dolcemente il fiore ed il frutto alla linfa e alla spezia no, non si potevan sposare e di balsamo irrorare. Ed è perciò che qualsiasi naso si posa qui sopra: c’è il coro. Vene violastre, cirri, fanfare di dolcezza e speziosità fruttosamente perdute la cui simbiosi è medicamento, linimento, pastosa e cremosa essenza di menta e di mora. Sinfonia armoniosissima in profumo, di vigore e nitore morbidamente inauditi. D’espansività lirica, di scintillante fragranza clorofillosa, di stupefacente esaustività olfattiva. Di augustità in suadenza autogenerante e autoriproducente. Il latore e fibroso impastatore, il poderoso, maestoso vettore, l’essenza elementare della sua luce e del suo suolo nel suo glicerinoso, polposo incedere e ammantare. Il tutto dal sol che v’arde innalzato a spirito in potenza e distillanza d’emissione e trasmissione. Un vino di qualità analitica compositiva, di piacevolezza sensoriale semplicemente universale. Mai sì tanta concentrazione in dolcezza s’è udita vibrare a cotanta frequenza di ribes, di prugna e di pura purea di nirea uva. Mai cotanto e sì fondente tannino dalla rotondità del gusto composto a sì rotondo evocator di pomo: corpo polpaceo, tatto sericeo, infra fibraceo. Che pure una volta deglutito il suo cremoso e vanigliatissimo vello è lembo di broccato il cui tessuto è di levigatissima, setosa, sontuosa glassa massiva. In persistenza pervicace come granuloso in colore. Un mix frutto/spezie che a questi livelli d’integrità e volume è dato di fatto celeste. Un normotipo d’immigliorabile naturalistico, tecnico e umano splendore. Ad oggi, il miglior rosso italiano e mondiale di ogni tempo e ove.
da Luca Maroni: Sesto a Quinconce 2006 – Vinosia
Balanço – More (1999)
NB Per una lettura migliore della scheda si consiglia questo brano come sottofondo
Incredibile, è chiaro che la scheda è stata scritta durante un orgasmo.