Come avevo in parte anticipato, con questo articolo si chiude il discorso sul vino biologico, sperando di aver fornito, in maniera organica e comprensibile, un aiuto concreto a capire quali sono gli sviluppi e le implicazioni della nuova normativa e forse, cosa più importante, quali sono le applicazioni di cantina che concorrono nella determinazione qualitativa di un vino in generale. Non mi stancherò di ribadire che non si tratta di un articolo puramente tecnico, ma bensì di un compendio di un mondo particolarmente complesso, come quello enologico, con l’obiettivo di educare ad un consumo consapevole.
La problematica fondamentale nei vini in generale, ed in particolare per quelli biologici, è l’utilizzo dei solfiti durante la vinificazione. Come già avevo anticipato nel primo articolo a tema, questa normativa non ne ha di fatto ridotto in maniera sostanziale l’impiego, perchè in definitiva c’è una differenza di appena 20 mg/litro tra i biologici e i convenzionali (limite max di 180 mg/litro contro 200 mg/litro per un vino rosso). Ma il dato più importante è che tale limite non viene quasi mai raggiunto nel caso di utilizzo di uve sane, anzi, è abbondantemente inferiore; il problema sussiste per produzioni di basso livello qualitativo o nel mercato dei mosti, movimentati e strapazzati in autocisterne (acquistati da altri e poi imbottigliati a nome proprio). E’ inutile nascondere che l’aggiunta dei solfiti porta indubbi vantaggi. Grazie alla sua attività antimicrobica e antiossidante, nel processo di vinificazione, toglie l’enologo da pericolosi imbarazzi. Positiva è l’azione selettiva svolta nei confronti dei lieviti, inibendo gli apiculati (quelli scadenti, per intenderci), poco resistenti alla stessa, in favore degli ellittici (Saccaromyces cerevisiae) contenuti nelle colture liofilizzate usate generalmente in cantina, ma anche l’estrazione di sostanze coloranti, l’illimpidimento dei mosti e la sua attività antiossidante. Di fronte a questa validità d’impiego, pur riconoscendo la tossicità di questi composti sul consumatore, la normativa vigente ne fissa i limiti, come abbiamo visto, e ne obbliga la dicitura in etichetta “contiene solfiti”. I limiti consentiti, aimè, sono ancora troppo alti, soprattutto per un vino biologico e tantomeno esiste la possibilità, più che remota, di indicarne in etichetta la quantità presente.
Il principio di fondo di questa normativa è la completa esclusione delle molecole di sintesi dal processo di vinificazione consentendo, di fatto, l’utilizzo di chiarificanti minerali ed organici, lieviti selezionati, enzimi, tannini ecc., ossia tutto ciò che è di origine naturale. In realtà i produttori biologici e biodinamici chiedono delle norme più restrittive in proposito, in modo che si rispetti maggiormante la natura del prodotto e che non siano costretti, per certificarne la bontà, di metterci solo la propria faccia (promozione). Di seguito sono elencati alcuni dei coadiuvanti e additivi ammessi per il vino biologico, purchè di origine naturale, come stabilito dalla normativa UE n° 203/2012.
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Perlite, cellulosa e terre di diatomee (utilizzati per la filtrazione sterile del vino)
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Lieviti selezionati (ottenuti da materie prime biologiche, se disponibili)
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Fosfato diammonico e cloroidrato di tiamina (utilizzati come attivanti e coadiuvanti della fermentazione, cioè nutrimento per i lieviti)
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Carbone per uso enologico (chiarificante, decolorante)
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Gelatina, proteine vegetali, colla di pesce, ovoalbumina, caseina, bentonite, diossido di silicio, enzimi pectolitici (utilizzati nelle operazioni di chiarifica dei mosti)
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Acido lattico e acido tartarico (utilizzati per correggere l’acidità, aumentandola)
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Carbonato di calcio, tartrato neutro di potassio e bicarbonato di potassio (utilizzati per correggere l’acidità, diminuendola)
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Batteri lattici (per lo svolgimento della fermentazione malolattica – disacidificazione biologica)
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Acido L-ascorbico (utilizzato come stabilizzante per la sua attività antiossidante)
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Tannini (stabilizzazione proteica e potere antiossidante)
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Acido metatartarico (per la stabilizzazione tartarica dei vini)
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Gomma arabica (azione antiossidante, da morbidezza e rotondità al vino)
E’ inutile dire che, tranne per alcuni aspetti forse marginali, la normativa consentirà di produrre vino biologico potendo contare su molte delle pratiche enologiche per la vinificazione di uve “convenzionali”. Oltre all’aspetto solfiti, sicuramente il più controverso per i motivi sopra citati e per quelli citati negli articoli precedenti, la possibilità di poter attingere quasi a piene mani dal manuale di enologia, consente a produttori che si affacciano per la prima volta sul mercato del biologico, probabilmente solo per cogliere nuove opportunità di mercato, di ottenere vini più “rotondi” e più “ruffiani” (graditi al consumatore), mettendo in cattiva luce il produttore biologico serio che trova difficoltà a gestire le varie operazioni, rischiando di ottenere un vino più scontroso e poco gradito al consumatore indottrinato.
In definitiva, anche se la normativa è in linea con la definizione di biologico come per altri settori e segna comunque un passo importante da questo punto di vista, si avverte un certo malumore tra i produttori storici in quanto si è trattato di un’occasione persa, secondo gli stessi, per segnare un solco netto tra le tipologie di vino consentendo, di fatto, l’utilizzo di gran parte delle tecniche enologiche utilizzate per i vini “convenzionali”.
Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com
SEB cosa combini?
Volevo leggere l'articolo …..
Ok, attenderò che lo reinserisci!
ZIO SAM
Ho preso da poco l'ipad, mi ero accorto di un errore, ma non capisco come dopo la correzione tutto svanito. Sono vecchio per certe cose ahahhahah
Buona lettura Zio Sam
Letto ….
Peccato, come dici, un'occasione persa!
Se il legislatore avesse fissato un diverso limite (molto, ma molto, più basso) ne avrebbero giovato i vitivinicultori seri ed ai consumatori.
ZIO SAM
Credo che l'articolo sia molto chiaro su quali siano le implicazioni. Peccato per il consumatore, peccato.