Finalmente, dopo qualche anno di rinunce per motivi vari, ho avuto l’occasione di partecipare alla più importante rassegna enologica del nostro paese, il Vinitaly, giunto alla 46^ edizione, vetrina prestigiosa per mettere in luce le nostre produzioni vitivinicole, dai terroir più blasonati a quelli emergenti, dai grandi marchi a quelli di nicchia, dai vitigni principe ai sorprendenti autoctoni, per finire con i vini biologici e biodinamici. Insomma, quattro giorni sotto la lente d’ingrandimento di buyers, operatori di settore e semplici appassionati provenienti da tutto il mondo. Ma andiamo per gradi, partendo dalle novità della manifestazione e finendo per parlare, in maniera diffusa, della realtà molisana.
Questa edizione si è aperta all’insegna dell’ottimismo, seppur sotto la scure dell’incremento della pressione fiscale, in quanto il 2011 sia stato l’anno record per l’export nel nostro paese, con ben 24 milioni di ettolitri per un valore di 4,4 miliardi di euro, vale a dire: una bottiglia su quattro nel mondo è italiana. Alla luce di questa tendenza e della sua evoluzione futura, possibile figlia di uno dei provvedimenti più attesi e controversi dell’ultima OCM vino, nell’agenda politica dell’appuntamento veronese, è stata posta in primo piano la tematica relativa alla liberalizzazione dei diritti d’impianto. A tal proposito, il Commissario europeo all’agricoltura, il rumeno Dacian Ciolos, a margine della conferenza stampa organizzata dal Cogeca (rappresentanza delle cooperative agricole europee) ha assunto una posizione più morbida a tal riguardo, dopo aver confermato, nel 2007, la volontà di liberalizzare gli impianti di nuovi vigneti. Dopo la crescita esponenziale del fronte anti-liberalizzazione, rappresentato da ben 14 paesi, tra cui Italia e Francia, ha esordito dicendo che “è pronto a discuterne in maniera pragmatica cercando di adeguare i diritti al mercato, soprattutto alla luce della tendenza all’export per il vino”.
Il Ministro Catania, invece, oltre a definire la liberalizzazione sbagliata e a cui si opporrà in maniera decisa, ha rimarcato la posizione dei viticoltori italiani come simbolo per tutto l’agroalimentare precisando anche, alla luce di una contrazione dei consumi interni, che bisogna fare ancora di più dal punto di vista promozionale soprattutto nei mercati emergenti, dove siamo in ritardo rispetto ai competitor. La diminuzione nei consumi interni di vino è frutto, secondo il Ministro, di una campagna di demonizzazione eccessiva e, per tal motivo, va svincolato dal consumo di alcool in generale.
Una delle novità del salone internazionale del vino e dei distillati è stata l’esposizione di produzioni enologiche sia biologiche che biodinamiche, uno spazio tutto nuovo all’isegna di ViViT (vigne, viganioli, terroir). Si tratta di prodotti che stanno riscuotendo un interesse sempre maggiore nel consumatore per via di metodi produttivi a basso impatto ambientale e dalle ideologie produttive, parlo soprattutto per i biodinamici, spesso demonizzate dalla critica. Mi sono avvicinato con curiosità all’area, ma la ressa e la fila per prendere il bicchiere per la degustazione mi hanno fatto desistere.
Altro tema caldo su cui molti produttori hanno fatto leva è l’ecosostenibilità, ossia produrre a basso impatto ambientale attraverso scelte energetiche “pulite”. Particolarmente provocatoria, da questo punto di vista, è stata l’iniziativa di Michele Manelli, patron dell’azienda Salcheto di Montepulciano, che ha voluto dimostrare come anche in una fiera è possibile abbattere il consumo elettrico utilizzando pannelli solari e facendo pedalare, ad ogni degustatore dei suoi vini, una sorta di bici per produrre energia per lavare i bicchieri e raffreddare il vino.
Passiamo ora alla realtà molisana, un piccolo angolo nel padiglione 7b, dedicato alle produzioni di questa piccola regione nel panorama vitivinicolo nazionale, con appena 5900 ettari, con le sue 4 DOC e 2 IGT, e la presenza dell’autoctono Tintilia come collante tra tradizione e innovazione. L’assessore all’agricoltura della regione, Angiolina Fusco Perrella, intervenendo alla conferenza stampa di presentazione ha ribadito che “la regione Molise ha voluto partecipare attivamente e valorizzare il comparto vitivinicolo con una selezione di 12 aziende locali di eccellenza. Un progetto mirato che prevede ulteriori iniziative da realizzare subito dopo il Vinitaly. Vogliamo, infatti, esaltare ed esportare la qualità“. Appena arrivato allo stand e dopo aver avuto modo di chiacchierare con amici sull’andamento della manifestazione e sulle difficoltà di fare mercato per una realtà dai numeri piccoli, soprattutto sull’atavico e campanilistico modo di fare mercato, privo di sinergie e strategie comuni, quanto mai necessarie per microrealtà produttive, mi sono accorto che i conti non tornavano. L’assessore ha parlato di 12 aziende selezionate, ma con tutta la buona volontà ne ho contate solo 9 presenti nello stand. Perché? L’assenza più pesante è, senza nulla togliere agli altri, guarda caso, quella dell’azienda Di Majo Norante, situata nell’adiacente padiglione 7 a qualche centinaio di metri di distanza. La cosa lascia l’amaro in bocca, soprattutto alla luce dei riconoscimenti straordinari che l’azienda bassomolisana ha ricevuto nell’ultimo Vinitaly, annoverata di diritto nelle 100 migliori aziende del bel paese, sotto la lente d’ingrandimento del mercato americano, con il suo Aglianico in purezza, Contado di Molise, inserito da “OperaWine” nella lista dei cento vini di prestigio. La presenza della stessa nell’area dedicata al Molise sarebbe stata fondamentale per dare una spinta all’export regionale, vista la capacità di calamitare consensi. Ma evidentemente, come dimostrato anche da un mal celato disappunto di alcuni miei intelocutori, la presenza in una regione difficilmente individuabile sulla cartina enogeografica e non, e c’è poco da stupirsi in quanto realtà tra addetti ai lavori, è poco infruttuoso rispetto a promuovere un brand. Altra defezione è quella dell’azienda Valerio di Monteroduni, in provinci di Isernia, l’unica che possa fregiarsi della DOC Pentro, da radici antichissime. Entrambe le realtà hanno come consulente Riccardo Cotarella, enologo di fama internazionale e firma di numerosi vini prestigiosi nel panorama viticolo internazionale. Sarà un caso?
Naturalmente, non bisogna dimenticare quanto di buona la regione possa offrire al di fuori di queste realtà. Mi riferisco in particolare al premio di Cangrande della Scala assegnato ai fratelli Enrico e Pasquale Di Giulio, depositari del marchio “Borgo di Colloredo” e consegnato alla presenza del Ministro Mario Catania, fino alla guida femminile di diverse aziende, vero e proprio motore dell’enologia, non solo regionale, ma dell’intero paese.
Concludo citando quello che l’assessore Perrella ha ribadito in maniera determinata: “Il Governo regionale ha tra gli obiettivi il rilancio della viticoltura e, a tal fine, intende moltiplicare le iniziative orientate a valorizzare i punti di forza del nostro Molise. Riteniamo, infatti, che il settore vitivinicolo sia una risorsa importantissima per il tessuto economico e produttivo regionale e che, facendo sistema con le aziende, si possa favorire la crescita dell’economia di tutta la regione”. Naturalmente, come si può non essere d’accordo con tale affermazione? Si tratta di un punto di partenza fondamentale, in cui vanno affrontati gli aspetti più deboli della situazione, ossia i numeri limitati, in termini di bottiglie prodotte, per affrontare mercati importanti, figli anche del poco peso delle realtà cooperative, frutto di gestioni disastrose e poco lungimiranti, oltre che di una strategia comune, un modo di fare impresa condivisibile, priva di campanili, che sappia valorizzare al meglio le peculiarità di un territorio che non ha nulla da invidiare ad altre realtà produttive.
Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com
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